Venti sanzioni nel giorno di apertura della caccia

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REGGIO EMILIA – Si è aperta domenica la stagione venatoria generale ed è stata una giornata di lavoro particolarmente intenso per gli agenti della Polizia provinciale e per i loro collaboratori, i guardiacaccia delle associazioni venatorie e protezionistiche e le Guardie ecologiche volontarie. “La giornata, di solito accompagnata da polemiche e proteste, si è invece svolta quest’anno senza particolari problemi, anche se non è mancata qualche richiesta d’intervento da parte di cittadini, specialmente quelli residenti nelle periferie urbane o in campagna, che si sentivano “assediati” dai cacciatori e dai loro cani – commenta il comandante della Polizia provinciale di Reggio Emilia, Lorenzo FerrariDiscreta la presenza di cacciatori registrata nella prima giornata, anche se distribuiti un po’ a macchia di leopardo. Continua il calo degli appassionati nostrani, compensato da un aumento percentuale dei cacciatori provenienti da altre regioni”.

Il bilancio del primo giorno di caccia, in pratica mezza giornata perché il calendario disponeva che dopo le 13 si potesse esercitare solo da appostamento, è di 20 sanzioni elevate dagli agenti, a cui potrebbero però aggiungersi quelle comminate da guardie o agenti di altri corpi e non ancora trasmesse alla Polizia provinciale. Quelle registrate hanno riguardato la violazione delle distanze di caccia (10 sanzioni per mancato rispetto di edifici o strade), l’ingresso in zone di divieto (4 sanzioni), 3 trasgressioni agli obblighi di annotazione sui tesserini (devono essere segnati i capi abbattuti, le giornate e le forme di caccia fruite) e altre 3 riguardanti l’omesso controllo dei cani da caccia, l’accesso ai terreni coltivati e l’irregolare trasporto delle armi a bordo delle auto.

L’attività di vigilanza venatoria da parte della Polizia provinciale è comunque estesa ormai a tutto l’anno, perché ci sono diversi tipi di caccia che si possono esercitare al di fuori della stagione generale iniziata domenica. È il caso delle cacce di selezione agli ungulati (caprioli, cinghiali, daini e cervi) – distribuite in periodi diversi lungo quasi tutto il corso dell’anno – o della cosiddetta “preapertura” (dall’1 settembre) che interessa la sola migratoria. “Proprio la “preapertura” quest’anno ci ha creato qualche grattacapo – continua il comandante Ferrari – perché l’aumento di piccioni e colombacci ha determinato una concentrazione di cacciatori nelle zone con coltivazioni di girasoli, con non poche proteste da parte dei residenti”.

Il 20 agosto era invece iniziata l’attività di addestramento dei cani da caccia, spesso confusa dai cittadini, che non fanno caso all’assenza dei fucili, per vero e proprio esercizio venatorio, provocando a volte false segnalazioni alla Polizia provinciale. Il ritorno dei cacciatori con i cani sul territorio, dopo la pausa stagionale di sei mesi, contribuisce indirettamente anche ad aumentare la sorveglianza. “Proprio pochi giorni fa, ad esempio, un addestratore ha scoperto, grazie al fiuto del cane, che in una zona della nostra collina qualcuno esercitava la caccia di frodo con i lacci e ci ha subito allertati, permettendoci di sequestrare numerosi lacci ed un capriolo, purtroppo ormai morto, catturato per il collo  – spiega il comandante della Polizia provinciale – Le successive indagini ci hanno portato a denunciare una persona all’autorità giudiziaria, che sta ora vagliando la sua posizione”.

Nella speranza che la stagione venatoria prosegua senza particolari problemi, al comando della Polizia provinciale si guarda anche al prossimo appuntamento importante: l’apertura della caccia al cinghiale da parte delle squadre organizzate che, a seconda delle varie zone, ripartirà tra ottobre e gennaio. “Quest’anno le autorità regionali hanno richiesto ai cacciatori un maggior impegno per diminuire la popolazione di cinghiali sul territorio, non solo per gli annosi problemi legati ai danni provocati all’agricoltura e al rischio di incidenti stradali, ma soprattutto per prevenire la diffusione della peste suina africana che, se si diffondesse nelle nostre zone, potrebbe danneggiare pesantemente  la suinicoltura e tutto il suo indotto economico – conclude il comandante Ferrari – Secondo gli esperti, una minore densità di popolazione dei cinghiali si tradurrebbe in una diminuzione delle probabilità di propagazione dell’infezione sul territorio”.