A livello mondiale, secondo una recente analisi dell’OMS*, sono oltre 1,28 miliardi le persone affette da ipertensione e circa metà non si rende conto di esserlo e non riceve alcun trattamento, con gravi rischi per la salute cardiovascolare. Secondo la Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa – Lega Italiana Contro l’Ipertensione Arteriosa, nella Regione Emilia Romagna sono ipertesi il 41% degli uomini e il 30% delle donne. Da recenti dati emerge inoltre che, sempre in regione, più della metà (56%) delle persone ultra 64enni soffre di ipertensione arteriosa, pari a 574 mila persone in tutta Emilia Romagna.
In alcuni casi può verificarsi un’ipertensione resistente al trattamento farmacologico se il valore pressorio risulta particolarmente elevato (superiore a 140/90 mmHg) nonostante la terapia. Si parla allora di Ipertensione Arteriosa Resistente: una malattia cronica particolarmente pericolosa poiché associata ad un aumento del rischio cardiovascolare, inclusi ictus e infarto, oltre a scompenso cardiaco e nefropatia. In altri casi invece l’ipertensione non è controllata o perché il paziente non tollera uno o più farmaci a causa di effetti collaterali ad alcuni principi attivi, oppure perché il paziente è scarsamente aderente alla terapia farmacologica soprattutto quando è richiesta l’assunzione di più pastiglie.
In tutti questi casi, un’opzione innovativa e sicura è la procedura di denervazione renale.
“Prima di questa procedura non esistevano trattamenti oltre a quello farmacologico. – afferma il professor Gabriele Guardigli, direttore della Cardiologia dell’Azienda Ospedaliero Universitaria di Ferrara – Oggi, con questa tecnica, a distanza di 3-6 mesi circa, in almeno l’85-90% dei pazienti riusciamo ad ottenere così una riduzione adeguata dei valori pressori, riducendo di conseguenza le note complicanze cardiovascolari, cerebrovascolari e nefrovascolari secondarie all’ipertensione stessa”.
L’intervento di denervazione renale messo in pratica nel laboratorio di emodinamica dell’Arcispedale Sant’Anna è riservato a pazienti affetti da Ipertensione arteriosa resistente e consiste in una procedura minimamente invasiva che interessa i gangli nervosi renali responsabili dell’iperstimolazione delle arterie renali e della conseguente pressione arteriosa elevata. Dopo la sedazione e una piccola incisione, il chirurgo inserisce un catetere molto sottile che gli permette di operare sui gangli. Attraverso il dispositivo spiraliforme, viene erogata energia a radiofrequenza (RF) termo-ablando i plessi renali disposti attorno alle arterie e mantenendo inalterata la funzionalità dell’organo.
Dopo l’intervento, il catetere viene rimosso senza lasciare alcun tipo di impianto. “La riduzione della pressione arteriosa è particolarmente importante nei pazienti in politerapia, – conclude il professor Guardigli – perché migliora la prevenzione di complicanze secondarie all’ipertensione quali l’infarto del miocardio, l’ictus cerebrale e l’emorragia cerebrale”.
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