FORLÌ – Con uno dei giganti del primo Rinascimento fiorentino, il Beato Angelico, continua Domenica 11 dicembre, alle ore 18.00, alla Chiesa di San Giacomo, con ingresso gratuito, la rassegna “Un’opera al mese”, l’appuntamento dedicato a far conoscere i capolavori dei Musei Civici di Forlì.
L’iniziativa, voluta dall’ Assessore alla Cultura Valerio Melandri, con la direzione artistica del Dirigente alla Cultura Stefano Benetti, è realizzata in collaborazione con l’Associazione Amici dei Musei di Forlì presieduta da Raffaella Alessandrini.
Dopo gli appuntamenti dedicati alla “Dama dei Gelsomini”, a Wildt, a Palmezzano, a De Chirico,
al “Pestapepe”, a Fattori, è la volta dei capolavori “Natività” e “Orazione nell’Orto” del Beato Angelico, provenienti dalla pinacoteca del Museo Civico del San Domenico, che verranno esposti per l’occasione nella Chiesa di San Giacomo.
Protagonista della serata sarà il professor Angelo Tartuferi, Direttore del Museo di San Marco di Firenze, museo consacrato all’arte del Beato Angelico.
Proprio l’anno scorso il Museo di San Marco ha ospitato per alcuni mesi il pregevole dittico esposto al San Domenico.
“Senza far torto alle altre opere di cui è ricca la Pinacoteca di Forlì – precisa il professor Tartuferi – dalle sculture del XII secolo, alle tavolette del Maestro di Forlì, dalla Madonna di Vitale da Bologna alle pale stupende di Marco Palmezzano, solo per citarne alcune, non c’è alcun dubbio che l’opera più preziosa – per la Storia dell’arte di tutti i tempi e anche in termini economici di mercato, seppure non sarà mai in vendita – è quella che gli storici dell’arte di tutto il mondo chiamano in estrema, folgorante sintesi “il Beato Angelico di Forlì”. Gli studi degli ultimi decenni hanno conseguito quelli che sono ormai ritenuti generalmente due punti fermi – legati da un rapporto di causa ed effetto – del percorso artistico di questo autentico genio della pittura di ogni tempo. Il primo consiste nella forte anticipazione dei suoi inizi, la sua nascita è posta intorno al 1395, mentre nel 1417 – quindi alla presumibile età di 22 anni – egli è citato già come pittore ancora da laico, quindi con il suo vero nome di Guido di Pietro e dovrebbe aver iniziato il suo apprendistato intorno al 1410 o subito dopo. Il secondo punto, legato proprio alla precocità dei suoi inizi, consiste nel fatto che egli non è più visto come “seguace”, seppure completamente diverso, di Masaccio, al quale è ancora attribuito in maniera esclusiva il titolo di fondatore della pittura del primo Rinascimento. Ai giorni nostri, colui che si fece frate domenicano intorno al 1420 presso il Convento di San Domenico di Fiesole, con il nome per l’appunto di Fra Giovanni da Fiesole, fu un indipendente co-fondatore al fianco di Masaccio della pittura nuova. Questo dato fondamentale si può constatare nel gruppo di dipinti che oggi sono ritenuti dagli studiosi fra i più antichi dell’Angelico fra quelli arrivati fino a noi. E immediatamente a ridosso di questo gruppo, si collocano le due preziose tavolette di Forlì, con ogni probabilità negli anni 1425-30.
L’interpretazione della visione masaccesca – prosegue Tartuferi – sembra infatti più matura e consapevole rispetto alle pochissime opere che possono dirsi più antiche rispetto a questi due dipinti. Tutto sommato, l’ipotesi più verosimile è che le due tavolette fossero riunite in origine a formare un dittico, dipinte in maniera preziosa come sono anche sul retro, sebbene non si possa escludere in assoluto anche la possibilità che ad esse fossero legate altre storie di Gesù. La resa convincente, straordinariamente naturalistica, dello spazio sullo sfondo della tavoletta con l’Orazione nell’orto, mirabilmente restituito non soltanto in verticale, ma con un prodigioso senso della profondità, oppure l’altissimo timbro poetico del notturno con l’Adorazione del Bambino dell’altra tavoletta, fanno di questi dipinti uno dei vertici della produzione ancora giovanile del grandissimo artista mugellano e davvero una delle opere più emblematiche del primo Rinascimento.
Direi che i forlivesi non debbano mai smettere di essere infinitamente grati al loro concittadino, l’abate Melchiorre Missirini, per aver lasciato alla città queste due “perle” luminosissime, risultato eccezionale del suo sconfinato amore per il collezionismo, acquisite certamente nel corso della sua permanenza a Firenze e in Toscana, dove si trasferì definitivamente nel 1828, per morire poi nel 1849 proprio nel capoluogo toscano”.
“E’ certamente per noi motivo di grande orgoglio il fatto che Forlì detenga questi due capolavori assoluti del primo Rinascimento fiorentino, precisa l’Assessore alla Cultura Valerio Melandri. E il fatto di offrire prima di tutto ai forlivesi una serata dedicata proprio al Beato Angelico credo vada nella direzione che abbiamo sempre auspicato: rendere partecipi i nostri concittadini dello straordinario patrimonio artistico esposto nei musei forlivesi”.