È il risultato di uno studio congiunto dell’Università di Bologna e VU University Medical Center Amsterdam. Nei pazienti con osteosarcoma, le cellule staminali, responsabili in condizioni fisiologiche della riparazione dei tessuti, “sentono” il tumore come una ferita che si ripara senza sosta. I segnali a cui rispondono sono specifici e rilasciati dal tumore stesso: ad esempio il TGFB, trasportato da nano vescicole secrete dalle cellule trasformate.
A questi segnali le cellule staminali rispondono liberando una grande quantità di Interleuchina 6, una molecola infiammatoria che stimola il tumore a produrre metastasi. L’osteosarcoma è il tumore maligno primitivo più frequente dello scheletro. Si tratta di una neoplasia estremamente aggressiva che colpisce in particolare bambini e adolescenti e che non sempre risponde alla chemioterapia. La rarità e l’eterogeneità dell’osteosarcoma, caratterizzato da un assetto genetico estremamente complesso, rappresentano un ostacolo per l’identificazione di bersagli molecolari mirati. I diversi tentativi in questo senso non hanno avuto successo, suggerendo la necessità di intraprendere nuovi percorsi di ricerca. In linea con questo obbiettivo, studi recenti hanno messo in evidenza l’importanza del microambiente dell’osteosarcoma: quanto è ossigenato il tessuto, se si accumulano protoni e se sono presenti cellule reattive.
Come in altri tumori solidi, anche nell’osteosarcoma il microambiente extracellulare presenta un eccesso di protoni, e quindi un pH acido, dovuto a un alterato metabolismo energetico. In uno studio pubblicato nel 2016 su Oncotarget, gli stessi ricercatori dell’Università di Bologna avevano dimostrato che questa acidità extracellulare contribuisce direttamente e in modo significativo alla chemioresistenza. Più recentemente, in due studi pubblicati su PLoS One e International Journal of Cancer, si è osservato che l’acidità del microambiente tumorale stimola la formazione di cellule staminali tumorali, elementi responsabili della resistenza alla terapia e della ripresa di malattia (questo avviene tramite le cellule staminali normali che si trovano vicino o dentro al tumore e la loro secrezione di molecole infiammatorie come IL-6, IL-8 e altre). Anche in questo caso, dunque, si delinea l’importanza fondamentale delle cellule staminali normali nel modulare il comportamento delle cellule neoplastiche.
“In passato abbiamo studiato l’osteosarcoma isolandone le cellule tumorali, facendole crescere in coltura e indagandone le alterazioni genotipiche e fenotipiche – dichiara il prof. Nicola Baldini del Dipartimento di Scienze Biomediche e Neuromotorie dell’Alma Mater. – Questi studi sono serviti a identificare alcune caratteristiche peculiari di questa neoplasia: alterazioni del corredo genetico, produzione di proteine anomale, chemioresistenza. Purtroppo la capacità di trasferire queste conoscenze al contesto clinico è risultata insufficiente. Appare sempre più evidente che la neoplasia è assai più di un semplice aggregato di cellule con un corredo genetico alterato, ma un tessuto complesso, nel quale le cellule staminali normali, attivate in risposta al tumore, ne alimentano le caratteristiche di malignità: resistenza alla terapia, invasione, metastasi. Con questa visione allargata è possibile aprire la strada a trattamenti diretti a modulare il microambiente della neoplasia, in modo da agire in modo efficace per colpire la frazione di cellule tumorali che sfuggono al controllo con le terapie convenzionali.”
Gli studi, condotti all’Istituto Ortopedico Rizzoli nell’ambito di un progetto di ricerca finanziato da AIRC, l’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro, consentono già oggi di considerare l’acidità del microambiente tumorale e l’attivazione delle cellule staminali normali come nuovi bersagli terapeutici per colpire l’osteosarcoma.
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