Le persone anziane hanno più difficoltà a valutare i segnali di pericolo rispetto al contesto in cui si trovano, tendendo così a spaventarsi anche in ambienti considerati sicuri
BOLOGNA – La paura è spesso collegata alla memoria: uno stimolo che associamo ad un evento negativo del passato – un trauma, un incidente – può attivare una reazione di allarme. Quando ciò accade, il contesto in cui ci troviamo gioca un ruolo fondamentale: se è simile a quello del trauma originale percepiamo un pericolo, se invece siamo in un ambiente “sicuro” il segnale di pericolo viene inibito.
Uno studio messo a punto da un gruppo di ricerca dell’Università di Bologna e pubblicato su Scientific Reports rivela però, per la prima volta, che questo meccanismo vale principalmente per i giovani, mentre le persone anziane sarebbero meno flessibili nel valutare il contesto, tendendo così a spaventarsi anche in ambienti considerati sicuri. Una novità che può rivelarsi utile per capire meglio il funzionamento alla base delle paure patologiche negli anziani, come disturbi d’ansia, fobie e attacchi di panico.
PAURE E RICORDI
Tutto parte dalla frequente connessione tra ricordi e paure. “I ricordi di esperienze traumatiche non vengono mai rimossi definitivamente dal nostro cervello”, spiega Giuseppe di Pellegrino, docente dell’Università di Bologna che ha guidato lo studio. “Per questo, stimoli ed eventi collegati a situazioni di pericolo vissute in passato possono, in alcune circostanze, attivare allarmi e paure”.
Un ruolo chiave, in questi casi, è però giocato dal contesto. “L’insieme delle informazioni relative a dove e quando abbiamo vissuto una certa esperienza è fondamentale per regolare in modo flessibile e adattivo il ritorno dei ricordi emotivi”, continua Di Pellegrino. “In ambienti potenzialmente pericolosi il contesto può fungere da segnale di allerta, mentre in ambienti sicuri può inibire l’emergere di memorie spiacevoli”.
APPRENDIMENTO, ESTINZIONE, RIEVOCAZIONE
Per cercare di capire a fondo il funzionamento di questo meccanismo, i ricercatori hanno coinvolto 48 persone divise equamente in base all’età (24 tra i venti e i trent’anni e 24 tra i sessanta e i settant’anni), chiedendo loro di svolgere in due giorni consecutivi un compito di apprendimento, estinzione e rievocazione di un “ricordo di paura”.
Inizialmente, i partecipanti sono stati indotti ad associare uno stimolo neutro (l’immagine di una pianta) ad una leggera scossa elettrica al polso, all’interno di una stanza. Come prevedibile, dopo alcuni abbinamenti tra immagine e scossa, i soggetti hanno iniziato a reagire all’immagine della pianta con le risposte fisiologiche tipiche della paura (ad esempio un aumento del battito cardiaco e della sudorazione cutanea).
In seguito, invece, all’interno di una stanza diversa, è stata mostrata l’immagine di una pianta senza che ci fosse alcuna scossa elettrica. Così facendo, i ricercatori hanno notato che le risposte fisiologiche legate alla paura sono progressivamente scomparse.
Il giorno successivo, infine, ai partecipanti è stata nuovamente mostrata l’immagine della pianta, sia nella prima stanza che nella seconda, con l’obiettivo di valutare il ruolo del contesto nel recupero dei ricordi emotivi da parte dei due gruppi coinvolti.
INVECCHIAMENTO E CONTESTO
Analizzando i dati raccolti, i ricercatori hanno notato che, mentre nel primo giorno sia i giovani che gli anziani rispondevano allo stesso modo (reagendo con timore alla vista della pianta nella prima stanza, ma non nella seconda), durante il secondo giorno il gruppo dei più anziani, a differenza dei giovani, mostrava reazioni collegate alla paura in entrambi i contesti, sia con la pianta nella prima stanza che con la pianta nella seconda stanza.
“Questi risultati ci dicono che l’invecchiamento può avere un impatto negativo sulla capacità di utilizzare le informazioni contestuali per modulare in modo flessibile il recupero dei ricordi emotivi”, dice Giuseppe di Pellegrino. “La responsabilità potrebbe essere dei cambiamenti che avvengono con l’età in alcune aree del cervello come l’ippocampo e le cortecce prefrontali, particolarmente soggette agli effetti dell’invecchiamento”.
Fare luce su questi mutamenti e le loro conseguenze può rivelarsi allora particolarmente utile per capire i meccanismi alla base delle paure patologiche, come i disturbi d’ansia e gli attacchi di panico, che spesso colpiscono gli anziani.
I PROTAGONISTI DELLO STUDIO
La ricerca – pubblicata su Scientific Reports – è stata realizzata presso il Centro studi e ricerche in Neuroscienze Cognitive dell’Università di Bologna (Dipartimento di Psicologia – Campus di Cesena). Gli autori sono Simone Battaglia, Sara Garofalo e Giuseppe di Pellegrino. Il lavoro del gruppo di ricerca è supportato da finanziamenti RFO (Ricerca Fondamentale Orientata) e PRIN (Progetti di Ricerca di Interesse Nazionale).