Analizzando dati raccolti dal Chandra X-ray Observatory, un gruppo internazionale di ricercatori potrebbe aver individuato un quasar risalente a soli 850 milioni di anni dopo il Big Bang oscurato da una densa nube di gas che ne starebbe alimentando la crescita
BOLOGNA – Un gruppo internazionale di ricercatori ha annunciato la possibile scoperta di un buco nero fortemente oscurato – cioè nella sua fase di crescita iniziale – risalente a soli 850 milioni di anni dopo il Big Bang. Si tratta della prima evidenza dell’esistenza di un buco nero nascosto in un’epoca così remota. La scoperta nasce grazie all’analisi di dati raccolti dal Chandra X-Ray Observatory, il telescopio orbitale della NASA per l’osservazione del cielo nei raggi X.
L’oggetto rilevato è un quasar – un buco nero supermassiccio estremamente luminoso – nascosto però da una densa nube di gas che ne starebbe alimentando la crescita. Dalle prime osservazioni, la fonte di raggi X che ha permesso di individuare il buco nero potrebbe corrispondere ad un quasar già noto (chiamato PSO 167-13) oppure ad un quasar ancora sconosciuto presente in una galassia vicina. In entrambi i casi si tratterebbe comunque del buco nero nascosto più distante mai osservato.
Allo studio – pubblicato su Astronomy & Astrophysics – hanno partecipato anche diversi ricercatori dell’INAF – Osservatorio di Astrofisica e Scienza dello Spazio di Bologna e del Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Bologna.
“L’individuazione di un quasar oscurato nell’Universo a soli 850 milioni di anni dal Big Bang rappresenta una scoperta sensazionale, frutto di anni di ricerca condotta dal nostro gruppo e resa possibile dalla capacità osservative di Chandra”, spiega Cristian Vignali, professore associato presso l’Università di Bologna tra gli autori dello studio. “Individuare altri quasar fortemente oscurati simili a PSO 167-13 ad un’epoca in cui l’Universo è ancora molto giovane sarà uno degli obiettivi principali dell’astrofisica dei prossimi anni”.
“Sospettiamo che la maggior parte dei buchi neri supermassicci nell’universo primordiale siano nascosti, proprio come quello che abbiamo individuato”, dice Roberto Gilli, ricercatore dell’INAF di Bologna che ha partecipato allo studio. “Riuscire a trovare e studiare questa popolazione nascosta potrà permetterci di capire in che modo i primi buchi neri riescano a crescere tanto rapidamente, fino a raggiungere masse pari a miliardi di volte quella del Sole”.
QUASAR IN CRESCITA
Normalmente i buchi neri supermassicci crescono attirando a sé materiale proveniente da un disco di materia che li circonda. A causa della crescita estremamente rapida, questo processo genera un’enorme quantità di radiazioni attorno al buco nero e produce quindi un’emissione estremamente luminosa e compatta che viene chiamata quasar. I quasar sono quindi di fatto buchi neri supermassicci estremamente luminosi.
Le simulazioni teoriche indicano che nella loro fase iniziale di crescita i buchi neri e il loro disco di accrescimento sono oscurati da una densa nube di gas. Man mano che il processo di crescita avanza, la nube di gas viene in parte assorbita e in parte espulsa fino a scomparire completamente, svelando così il buco nero e il disco luminoso che lo circonda.
“È estremamente difficile individuare i quasar mentre questi sono nella loro fase di crescita iniziale nascosta, perché gran parte delle radiazioni che emettono viene assorbita”, spiega Fabio Vito, ricercatore della Pontificia Universidad Católica de Chile che ha guidato lo studio. “Ma grazie alle rilevazioni di Chandra e alla capacità dei raggi X di superare la nube di gas pensiamo di esserci finalmente riusciti”.
RISULTATI INATTESI
Grazie ad osservazioni con telescopi ottici, nel corso degli anni sono stati individuati circa duecento quasar risalenti a quando l’Universo aveva meno di un miliardo di anni (oggi ha 13,8 miliardi di anni). Poiché le emissioni che vengono rilevate con i telescopi ottici sono oscurate dalle nubi di gas, i buchi neri che sono stati rilevati dovrebbero essere già usciti dalla loro fase di crescita iniziale nascosta.
A partire da questi elementi, il gruppo internazionale di ricercatori ha deciso di analizzare dieci dei quasar individuati osservandoli con il telescopio orbitale della NASA Chandra, che rileva i raggi X. L’aspettativa era confermare quanto già rilevato dalle osservazioni con telescopi ottici. E in nove casi su dieci è andata così. In un caso però – quello del quasar PSO 167-13, scoperto alcuni anni fa dal telescopio ottico Pan-STARRS che si trova alle Hawaii – i dati hanno rivelato risultati inattesi.
Dopo sedici ore di osservazione, Chandra ha infatti individuato solo tre raggi X provenienti dal quasar PSO 167-13, tutti ad energie relativamente elevate. Dato che i raggi X a basse energie vengono assorbiti più facilmente rispetto a quelli a energie più alte, l’ipotesi a cui sono arrivati i ricercatori è che il quasar in questione sia oscurato. La presenza di una densa nube di gas attorno a PSO 167-13 permetterebbe infatti di rilevare solo i raggi X ad elevata energia.
DUE IPOTESI
C’è però anche un’altra ipotesi. La galassia che ospita il quasar PSO 167-13 è infatti affiancata da una galassia vicina, già rilevata sia dal radiointerferometro ALMA in Cile che dal telescopio spaziale Hubble della NASA. Dato che le due galassie sono vicine e la fonte di raggi X rilevata è molto debole, i ricercatori non sono riusciti a stabilire con certezza se il buco nero oscurato sia in effetti il quasar PSO 167-13 oppure un nuovo quasar presente nella galassia accanto.
Nel primo caso, i ricercatori dovrebbero spiegare perché PSO 167-13 appare come un buco nero oscurato secondo la rilevazione ai raggi X, ma è comunque visibile con un telescopio ottico. Dato che tra la prima individuazione del quasar e la nuova analisi con Chandra sono passati tre anni, una possibile spiegazione potrebbe essere un rapido aumento di materiale attorno al buco nero che ne ha portato all’oscuramento. La seconda ipotesi – la fonte di raggi X deriva dalla galassia accanto – indicherebbe invece la presenza di un nuovo quasar molto vicino a PSO 167-13: sarebbe la coppia di quasar più distante mai rilevata.
In entrambi i casi, però, una cosa è certa: se confermato, il quasar individuato dai ricercatori – risalente a 850 milioni di anni dopo il Big Bang – sarebbe il buco nero oscurato più distante mai osservato fino ad oggi.
I PROTAGONISTI DELLO STUDIO
Lo studio è stato pubblicato su Astronomy & Astrophysics con il titolo “Discovery of the first heavily obscured QSO candidate at z > 6 in a close galaxy pair”. Il primo autore è Fabio Vito della Pontificia Universidad Católica de Chile (laureato e dottore di ricerca dell’Università di Bologna). Il programma Chandra è gestito dal Marshall Space Flight Center della NASA (Huntsville, Alabama, USA), mentre il Chandra X-Ray Center dello Smithsonian Astrophysical Observatory (Cambridge, Massachusetts, USA) gestisce gli aspetti scientifici e le operazioni di volo.
Per l’Università di Bologna hanno partecipato Cristian Vignali, Riccardo Nanni e Marcella Brusa del Dipartimento di Fisica e Astronomia. Per INAF – Osservatorio di Astrofisica e Scienza dello Spazio di Bologna hanno partecipato Roberto Gilli, Giovanni Zamorani, Francesco Calura, Andrea Comastri e Marco Mignoli.
Didascalia immagine
L’immagine riporta la rilevazione ottica effettuata con il telescopio Pan-STARRS. Nel riquadro a sinistra i raggi X rilevati con il Chandra X-ray Observatory da una piccola regione centrale (contrassegnata dalla croce rossa) del campo ottico. Nel riquadro a destra, lo stesso campo visivo visto dal radiointerferometro ALMA: la fonte luminosa è il quasar, mentre in basso a sinistra emerge una galassia vicina.
Credit: X-ray – NASA/CXO/Pontificia Universidad Catolica de Chile/F. Vito; Radio – ALMA (ESO/NAOJ/NRAO); Optical – PanSTARRS