Unibo. Gli europei dell’era glaciale? Nomadi e pionieri che si aprirono all’oriente

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Università BolognaUna ricerca internazionale, a cui ha partecipato anche l’Alma Mater, svela per laprima volta la storia genetica delle popolazioni umane presenti in Europa prima della rivoluzione causata dall’introduzione dell’agricoltura

BOLOGNA – Chi erano e come vivevano le prime popolazioni umane europee, comparse circa 45mila anni fa, al culmine dell’ultima era glaciale? Fino ad oggi di loro avevamo piccoli indizi derivati da ossa, utensili, pitture rupestri e altri manufatti. Sapevamo che erano nomadi, dediti alla caccia e alla raccolta di piante e frutti della terra, e che erano dei pionieri, tanto che rimasero in quei territori anche nel periodo compreso tra 25mila e 19mila anni fa, quando i ghiacciai arrivarono a coprire l’intero continente. Ora però, grazie all’analisi del DNA, possiamo finalmente conoscere da vicino quei popoli e tracciare un ritratto molto più definito dei nostri “antichi cugini”. Un’immagine tutta nuova che regala diverse sorprese.

A gettare nuova luce sull’identità dei primi europei è una complessa ricerca internazionale, da poco pubblicata su Nature, che vede tra gli autori anche il ricercatore Unibo Stefano Benazzi. Confrontando i dati ricavati dal genoma dei resti di 51 umani che vissero tra 45mila e 7mila anni fa, lo studio ha potuto fornire, per la prima volta, un’analisi dettagliata della storia genetica delle popolazioni umane presenti in Europa prima della rivoluzione causata dall’introduzione dell’agricoltura. Dati che rivelano la scomparsa e la successiva ricomparsa di un gruppo che costituisce parte dell’eredità genetica degli europei di oggi, e descrive quando e come questi antichi europei acquisirono caratteri genetici da popolazioni provenienti dall’Oriente. Inoltre, i risultati dello studio mostrano come l’ammontare di DNA ereditato dai Neanderthal, ancora presente nei moderni genomi, si sia ridotto nel corso dei millenni, probabilmente perché portatore di carattere evolutivamente svantaggiosi.

Iniziamo proprio da qui. Le popolazioni europee attuali hanno ancora tracce, nel loro DNA, del legame con la specie Neanderthal: una porzione minima, corrispondente a circa il 2% del patrimonio genetico. Nel caso dei primi popoli europei, analizzati nello studio, questa percentuale era però maggiore, tra il 3% e il 6% dei DNA analizzati. Come mai col passare dei millenni è diminuita? Considerando che lo stesso studio ha anche dimostrato che i popoli che vissero tra 37mila e 14mila anni fa in Europa non si mischiarono con altri gruppi, non si può che dedurre che il ridimensionamento dei geni ereditati dai Neanderthal sia dovuto ad un processo di selezione naturale: i caratteri dei Neanderthal si rivelarono svantaggiosi per la sopravvivenza della specie e dunque si sono via via ridotti.

Ma gli antichi europei non restarono sempre un gruppo chiuso. Come dimostrato dell’individuo paleolitico di Villabruna, studiato recentemente proprio da Stefano Benazzi, che svolge la sua attività di ricerca presso il Dipartimento di Beni culturali dell’Alma Mater. A partire da 14mila anni fa, infatti, si registra un incontro con le popolazioni che abitavano il Vicino Oriente: un dato sorprendente, considerando che fino ad oggi si pensava che i primi contatti derivarono dall’introduzione dell’agricoltura, risalente a circa 8.500 anni fa, quando i primi agricoltori del Vicino Oriente vennero in Europa rimpiazzando i cacciatori-raccoglitori. L’analisi del DNA anticipa questo incontro tra popoli di ben 6mila anni.

Che cosa può aver determinato questo cambiamento? L’articolo pubblicato su Nature individua due possibili ipotesi. La prima prende in considerazione il fatto che tale mutazione nel patrimonio genetico delle prime popolazioni europee sia avvenuta in concomitanza con una fase di grande disgelo che causò il ritiro dei ghiacciai che ricoprivano buona parte del nostro continente: il clima più caldo potrebbe aver dunque favorito l’ingresso di popolazioni del Vicino Oriente in Europa. In alternativa si potrebbe ipotizzare che un gruppo umano proveniente da sud-est (Levante, Grecia, Turchia) abbia colonizzato sia il resto dell’Europa che il Vicino Oriente, portando i propri genomi con sé.

Non solo Vicino Oriente, però. Le ricerche sul patrimonio genetico degli antichi europei, infatti, hanno gettato luce anche su un altro inedito avvenimento che ha lasciato traccia nel DNA dei resti esaminati. Dai dati raccolti emerge che le popolazioni di cacciatori-raccoglitori europee acquisirono caratteri del DNA proprie delle popolazioni asiatiche a partire da 14mila anni fa, suggerendo quindi un ingresso di popolazioni provenienti dall’Estremo Oriente in Europa. Una rivelazione, questa, che si affianca ad un’ulteriore sorpresa: a quanto pare, un primo gruppo di popolazione stabilitosi in Europa sembra scomparire per essere sostituito da un secondo ramo per un periodo di 15mila anni, e riapparire poi alla fine del massimo picco glaciale. La prima popolazione, sembra a questo punto essersi espansa attraverso tutto il continente, partendo da sud-ovest, a mano a mano che i ghiacci si ritiravano dal continente.

“È interessante notare – conclude Benazzi – che proprio in questo periodo avvengono importanti cambiamenti culturali in Europa, e in particolar modo in Italia. Gli archeologi avevano già osservato che nel Paleolitico Superiore finale (Epigravettiano finale) si formano molteplici manifestazioni culturali a carattere regionale, a cui si associa una trasformazione economica verso uno sfruttamento più diversificato delle risorse, un diverso rituale funerario e la comparsa di oggetti di significato più enigmatico. I risultati dello studio pubblicato su Nature suggeriscono che questi cambiamenti culturali sono dovuti all’arrivo di nuovi gruppi umani provenienti dall’Asia”.