Un angolo di Marte in Etiopia: la ricerca di frontiera Unibo che punta al pianeta rosso

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DallolNella caldera del Monte Dallol, un cratere vulcanico dalle caratteristiche uniche, i ricercatori dell’Alma Mater vanno alla caccia di organismi in grado di sopravvivere in ambienti simili a quelli marziani

BOLOGNA – La depressione della Dancalia, una regione nel nord-est dell’Afar, in Etiopia, poco lontano dal confine con l’Eritrea, ospita una delle località più ostili, remote, ma anche scenograficamente colorate al mondo. Si tratta della caldera del Monte Dallol: un cratere vulcanico unico al mondo, dove l’altimetro segna meno 125 metri rispetto al livello del mare, mentre il termometro può arrivare anche oltre i 60 gradi centrigradi, e vapori di cloro e di zolfo riempiono l’aria.

In questa regione estrema, dal carattere geologico unico, si muove una ricerca di frontiera condotta dal Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna, in collaborazione con l’Università di Mekelle in Etiopia, il cui obiettivo è cercare forme di vita in grado di svilupparsi e sopravvivere in condizioni tanto particolari. Organismi unici che, visto il loro habitat, potrebbero essere molto simili alle prime forme di vita comparse miliardi di anni fa sul nostro pianeta. E non solo, perché lo studio coinvolge anche prospettive extraterrestri, puntando in particolare lo sguardo sul pianeta Marte.

“Il Dallol – spiega Barbara Cavalazzi, ricercatrice Unibo, appena rientrata da una campagna di campionamento geomicrobiologico nell’area – è uno spettacolare angolo di mondo, generato da una rara ed unica coincidenza di fattori geologici, che potrebbe determinare la formazione di nicchie ecologiche uniche. Qui potrebbero nascondersi organismi in grado di sopravvivere in ambienti simili a quelli marziani: forme di vita del tutto simili a quelle che popolarono il nostro pianeta miliardi di anni fa”.

Un collegamento, quello con la vita su Marte, che torna anche da un’altra coincidenza: i vasti depositi di sale che si trovano nella depressione della Dancalia potrebbero, infatti, aiutare a capire l’origine degli analoghi depositi di cloruro di sodio su Marte, considerati la prova dell’evaporazione di vaste masse d’acqua salata che avrebbero potuto anche ospitare forma di vita. Per tutti questi motivi, la stessa Barbara Cavalazzi è stata da poco coinvolta anche nel progetto europeo Europlanet 2020 Research Infrastructure, dedicato a ricerche integrate di scienze planetarie in Europa.

Gli studi nella caldera del Monte Dallol sono realizzati grazie ad un accordo quadro di cooperazione internazionale tra l’Università di Bologna e l’Università di Mekelle. Per l’Alma Mater, oltre a Barbara Cavalazzi, sono coinvolti i docenti Roberto Barbieri, Bruno Capaccioni e Giorgio Gasparotto (con il prof. Gian Gabriele Ori dell’Università degli Studi “Gabriele d’Annunzio” di Chieti-Pescara), mentre per l’ateneo etiope è presente il prof. Miruts Hagos. E le ricerche in laboratorio vedono la partecipazione di studenti di entrambe le università.