“Vedo che, in relazione alla nomina di Vasco Errani a Commissario per la ricostruzione dei territori del Centro Italia colpiti dal sisma, è già partita la polemica sul cosiddetto “modello Emilia”.
Prima che la discussione prenda una piega assurda, vorrei provare a spiegare in cosa consiste il nostro modello, almeno per provare a discutere tutti della stessa cosa e non parlare gli uni di treni e gli altri di elefanti.
Nel 2012, il presidente Errani, insieme ai sindaci dei comuni terremotati ha assunto una serie di decisioni strategiche, che avevano lo scopo di ricostruire in tempi ragionevoli, con più sicurezza e qualità e garantire trasparenza, legalità ed equità negli aiuti.
La prima scelta è stata di tipo istituzionale: la principale catena di comando è stata mantenuta in capo ai rappresentanti delle istituzioni democratiche, istituendo una cabina di regia con i sindaci, coinvolgendo le associazioni rappresentative, attribuendo agli uffici dei comuni, appositamente rafforzati, un ruolo chiave nella gestione delle procedure. La potremmo anche definire una scelta di fiducia nella democrazia.
La seconda scelta è stata urbanistica. Abbiamo detto no alle “new town” e contenuto il più possibile, grazie all’impiego del contributo di autonoma sistemazione, il ricorso ai moduli abitativi provvisori (che come previsto stanno gradualmente scomparendo). In altri termini una scelta di tutela dell’identità e della storia dei luoghi, in piena sintonia con i sentimenti profondi della nostra gente.
La terza ha riguardato la legalità. Da un lato il meccanismo di assegnazione dei contributi è stato pensato per assicurare la massima tracciabilità della destinazione e dell’uso dei fondi (i pagamenti si fanno direttamente dalle banche alle imprese, senza possibilità di intermediazioni e di nero). Dall’altro lato abbiamo introdotto, d’intesa con il Governo, le “white list” e istituito il Girer.
Infine ci siamo preoccupati di aiutare le imprese a ripartire e di evitare l’abbandono del territorio da parte delle imprese multinazionali, prevedendo, oltre la garanzia dei contributi per la ricostruzione, che gli imprenditori e manager hanno apprezzato e stanno utilizzando, un fondo speciale di sostegno alla ricerca, che ha registrato un indubbio successo.
C’è stata, lo riconosco, una discussione accesa e forse troppo lunga sulle agevolazioni fiscali, una discussione che alcuni demagoghi proseguono ancora, ma sulla quale è doveroso riaffermare un principio di equità e giustizia: noi abbiamo detto sì a un’agevolazione fiscale mirata alle piccole e medie imprese realmente colpite dal sisma e in particolare a quelle situate nei centri storici. Abbiamo detto no e credo dobbiamo continuare a dire no a chi pretenderebbe di condonare le imposte a tutti, anche a chi non ha subito danni, ha proseguito comunque l’attività e, in qualche caso, ha avuto pure l’opportunità di crescere il fatturato.
L’assessora regionale Palma Costi ha ricordato in questi giorni che la ricostruzione è arrivata al 70% e, dobbiamo aggiungere, che il bicchiere si sta riempiendo e non svuotando. Ma a chi parla di tempi lunghi, lasciando intendere che lui avrebbe la bacchetta magica, vorrei ricordare che, per andare a regime, abbiamo dovuto convincere il Governo Monti che era doveroso riconoscere il 100% dei danni e la Commissione Europea che avremmo speso bene le risorse; abbiamo dovuto rodare gli uffici e le banche, i progettisti e le imprese, attraverso un confronto continuo e tutt’altro che semplice. Soprattutto abbiamo dovuto scrivere da capo quasi tutte le norme.
Dunque, invece di fare dozzinale propaganda, sarebbe bene mettere le mani sulle cose che non vanno davvero, tenendo conto della nostra e di altrui esperienze, per dotare finalmente il Paese di una legislazione adeguata e stabile per gli aiuti e le ricostruzioni (tra cui ad esempio il modo di accelerare il recupero dei beni storici e artistici) e soprattutto e prima di tutto per dotarci di una vera strategia di prevenzione.”
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