Se la salute è la priorità per gran parte delle persone, soprattutto in questo periodo storico, e con la pandemia le attenzioni sul settore della sanità sono altissime, si rischia che il Covid metta in secondo piano le altre patologie, principalmente quelle, come l’endometriosi, che non sono ancora considerate come prioritarie dal sistema sanitario nazionale. I tempi di attesa per avere una visita specialistica, già lunghissimi prima del Covid – è stato stimato che una donna aspettava sei mesi in media prima di poter avere un appuntamento – sono in aumento, degenerando una situazione in cui la tempistica è fondamentale. Per questo l’APE – Associazione Progetto Endometriosi che mette insieme pazienti di tutta Italia – lavora per creare consapevolezza sulla malattia e per limitare i danni che l’endometriosi genera, portando all’attenzione la necessità della diagnosi precoce.
«Conoscere l’endometriosi significa ridurre il tempo diagnostico e intervenire tempestivamente, preservando la salute e la fertilità della donna», spiega Annalisa Frassineti, presidente di APE.
Oltre ai tempi lunghi per trovare un centro o uno specialista che possa garantire diagnosi e monitoraggio della patologia indicandone le cure – in diverse regioni italiane non esistono centri specializzati e le donne spesso devono percorrere migliaia di km per trovarli -, le persone con endometriosi non vedono riconosciuti i diritti che dovrebbero spettare a chi soffre di una malattia tanto grave. Solo le donne considerate agli stadi più gravi possono ricevere alcune prestazioni sanitarie gratuitamente, come le visite di controllo ogni sei mesi, seppure ci siano ancora lacune da colmare. Dal 2017 l’endometriosi è stata infatti inserita tra i livelli essenziali di assistenza (Lea) come malattia cronica invalidante, ma solo relativamente ai casi più avanzati, cioè quelli considerati al 3° o 4° grado. Le altre donne non hanno forme di tutela e possono arrivare a spendere fino a 2.500 euro l’anno per curarsi.
Come evidenziato dall’Associazione Progetto Endometriosi, per aiutare queste pazienti diventa fondamentale tracciare la malattia ed intervenire in modo specifico. Il Registro nazionale di patologia istituito nel 2017 per raccogliere tali dati non è ancora attivo e dunque non è neanche chiaro il numero delle donne affette da endometriosi. In Emilia Romagna, dove c’è un registro regionale, sono stati attivati dei percorsi diagnostici assistenziali, i quali, attraverso la collaborazione di ospedali, consultori e centri specializzati, puntando sulla formazione e l’informazione, rendono più veloci le diagnosi e dunque anche le cure.
Sul sito dell’APE – www.apendometriosi.it – ci sono tutte le informazioni utili e i progetti, per aiutare concretamente le donne affette da endometriosi e per entrare a far parte della rete nazionale.
Per informazioni: A.P.E. – Associazione Progetto Endometriosi
Sito web: www.apendometriosi.it
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