MODENA – Il progetto “Storie d’Egitto”, con la mostra che inaugura sabato 16 febbraio a Palazzo dei Musei, coniuga discipline umanistiche e scientifiche, e prevede lo studio collezionistico e storico-archeologico, oltre un articolato programma di diagnostica e manutenzione conservativa dell’intero nucleo di antichità egiziane, nel rispetto del Codice etico Icom (International Council of Museums). Questo, in merito alla cura delle collezioni, prescrive che siano disponibili e trasmesse alle generazioni future nelle migliori condizioni possibili e con una documentazione adeguata che includa “l’identificazione e la descrizione completa di ciascun oggetto, gli elementi associati, la provenienza, lo stato di conservazione, il trattamento e la collocazione attuale”. In tal senso, il protocollo seguito per il progetto verrà ripetuto nei prossimi anni per riscoprire, valorizzare e preservare altre raccolte dei Musei civici conservate nei depositi e non esposte per mancanza di spazio o per altre motivazioni.
Nel progetto “Storie d’Egitto”, curato per i Civici da Cristiana Zanasi, sono stati coinvolti Marco Zecchi, docente di Egittologia all’Università di Bologna e Daniela Picchi, responsabile sezione egiziana del Museo civico archeologico di Bologna.
La mummia modenese di bambino (si tratta di un maschio) ha richiesto la campagna diagnostica più articolata con indagine tomografica computerizzata (Tac e RX, esami possibili grazie alla disponibilità della Struttura di Radiologia dell’Azienda Ospedaliero – Universitaria di Modena, che ha effettuato le indagini richieste in orari straordinari, senza limitazioni al servizio pubblico; datazione al radiocarbonio (C14) di un frammento osseo e di alcuni campioni di bende che la avvolgono, così come analisi merceologiche dei filati del bendaggio a cura di TecnArt, Tecnologia e ricerca per l’arte; studio paleopatologico e antropologico a cura di Francesco Galassi, College of Humanities, Arts and Social Sciences della Flinders University, e Elena Varotto, del Dipartimento di Scienze umanistiche dell’Università di Catania; analisi dei pigmenti presenti nei reperti archeologici e della policromia che caratterizza il cartonnage tramite indagini multispettrali a cura di Andrea Rossi, Di-Ar-Diagnostica per immagini per i Beni Culturali; identificazione della specie legnosa utilizzata per il sarcofago antropoide a cura di Nicola Macchioni, Lorena Sozzi, Simona Lazzeri, Cnr – Ivalsa di Sesto Fiorentino; analisi entomologiche su reperti organici contenuti nel sarcofago, a cura di Stefano Vanin della School of Applied Sciences, University of Huddersfield. Le analisi diagnostiche sulla mummia hanno consentito di riconoscere sesso, età e datazione del piccolo corpo imbalsamato: si tratta di un bambino di tre anni vissuto in Epoca Romana, fra I e II secolo d.C.
Sempre grazie alla disponibilità della Struttura di Radiologia del Policlinico di Modena sono stati sottoposti a Tac e RX anche i quattro arti umani (due braccia e due gambe) e le tre teste conservate nella raccolta, che visti gli eccellenti risultati conseguiti della determinazione della mummia, verranno a loro volta campionati per eseguire le datazioni radiocarboniche.
L’Università di Modena e Reggio Emilia è stata inoltre coinvolta per le analisi chimiche e sedimentologiche sui reperti lapidei della raccolta, effettuate da Stefano Lugli, Paolo Pallante, Cesare Andrea Papazzoni e Paolo Zannini del Dipartimento di Chimica e Scienza della Terra, e per quelle botaniche a cura di Giovanna Bosi, Dipartimento di Scienze della Vita UniMoRe.
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