REGGIO EMILIA – Con l’approssimarsi della conclusione della caccia al cinghiale continua l’attività di vigilanza e controllo effettuata dalla Polizia provinciale nei confronti delle squadre che praticano il metodo della braccata. Il giorno di Santo Stefano, una pattuglia ha scoperto nella zona di Ramiseto alcuni cacciatori all’interno dei confini del Parco nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano: tre, in particolare, stavano commettendo diversi reati in materia di caccia e armi. Un 53enne di Albinea è stato infatti sorpreso con la tenuta di una squadra di cacciatori di cinghiale mentre, con segugio al guinzaglio e fucile a tracolla, tentava di allontanarsi velocemente dalla zona attraverso i boschi: per lui è scattata la denuncia di illecita introduzione di armi nel Parco nazionale. Gli altri due sono stati invece sorpresi nell’atto di finire un cinghiale con l’ausilio di un fucile e dei cani: a entrambi – un 43enne di Bagnolo in Piano e un 50enne di Ramiseto – è stato contestato il reato di caccia all’interno del Parco nazionale, al secondo anche quello di omessa custodia dell’arma dal momento che, nella foga di seguire il cinghiale col collega, aveva imprudentemente lasciato il proprio fucile in bella vista sull’auto posteggiata a bordo strada. Ai tre cacciatori sono state ovviamente sequestrate anche le armi, tre fucili ed un pugnale, e la carcassa del cinghiale appena abbattuto.
Nelle settimane precedenti, nell’ambito della stessa tipologia di controlli, un componente di una squadra al cinghiale che stava operando all’interno di un’azienda faunistica privata della collina era stato invece colto nella flagranza di esercitare la caccia col fucile, pur non essendo titolare della licenza di porto d’armi. La Polizia provinciale, oltre a denunciarlo per il grave reato di porto abusivo d’armi, ha anche sequestrato il fucile, poi risultato di proprietà di una terza persona a sua volta denunciata per il reato di incauto affidamento dell’arma a persona imperita e priva del prescritto titolo. L’episodio è ancora più grave in quanto il cacciatore abusivo era proprio il guardiano dell’azienda faunistica.