Vittorio Sgarbi anticipa: “Una cinquantina di sue opere donate dall’artista alla città”
FERRARA – “Adelchi Riccardo Mantovani dipingeva per salvare il suo sogno di bambino”. Vittorio Sgarbi, presidente della Fondazione Ferrara Arte, ricorda il grande pittore e disegnatore nel giorno della scomparsa. Originario di Ro Ferrarese e berlinese d’adozione, aveva compiuto 81 anni lo scorso 7 febbraio. Al Castello Estense di Ferrara era stata allestita una grande mostra trasferita in seguito al Mart di Rovereto, dove si è conclusa qualche giorno fa.
“Abbiamo fatto conoscere a Ferrara – e poi a Rovereto – il mondo di un grande artista ferrarese, un grande sognatore, l’ultimo maestro del Rinascimento, erede di Francesco del Cossa e di Ercole de’ Roberti, e pittore non della Storia, ma della propria avventura umana. La sua pittura quasi fiamminga, il ritorno all’infanzia, il suo mondo animato da suore e preti, sono un amarcord formidabile di un migrante italiano che arriva in Germania e lì trova rifugio”.
Le vicende della sua vita, le sue ossessioni infantili sono state narrate da lui stesso con insuperabile e seducente candore nelle note autobiografiche realizzate per la grande retrospettiva Il sogno di Ferrara al Castello, e ora presenti nel catalogo della mostra. Mantovani aveva lavorato insieme a Pietro Di Natale e a Vasilij Gusella, rispettivamente direttore e conservatore della Fondazione Ferrara Arte, tanto nella scelta delle opere quanto nella compilazione di questi ricordi.
“A Ferrara egli era nato. Anzi a Ro, un piccolo paese sul Po: per coincidenza della sorte lo stesso luogo nel quale per almeno un decennio siamo inconsapevolmente convissuti – continua Sgarbi – Nel 1964, a 22 anni, non ancora pittore, ma semplicemente operaio, Adelchi si trasferì a Berlino, interrompendo ogni rapporto, che non fosse turistico, con la patria. Ma, come ogni vero emigrato, ha portato con sé tutto il suo mondo – ricorda Sgarbi -. E quando, con i tempi e i modi di cui egli stesso ci ha raccontato, ha cominciato a dipingere, via via sempre più perfezionandosi, Ferrara e Ro sono completamente riemerse. Così non sappiamo se Adelchi fosse un pittore italiano a Berlino o un pittore tedesco che, come un nuovo Nazareno, fosse perdutamente innamorato dell’Italia e quella solo dipingesse. Continuando a stare chiuso nella sua solitudine, da Berlino gli era consentito sognare Ferrara. Lì elaborò una capacità pittorica – senza scuola, fatta di ostinazione e rigore – per salvare il suo sogno di bambino. Adelchi ha messo insieme la memoria e il presente creando uno stile assolutamente originale, a cavallo tra la metafisica e il surrealismo”.
“Con la sua scomparsa, la città di Ferrara erediterà una cinquantina di opere di Mantovani, che l’artista ha voluto donare in segno di riconoscenza, una volta terminata l’esposizione al Mart. Ho infatti ricevuto da lui indicazioni affinché tutte le sue opere, che non siano proprietà di privati, vengano esposte a Ferrara. Per Adelchi sono un segnale di riconoscenza e di gratitudine, per la ‘corrispondenza di amorosi sensi’ ottenuta con la mostra nella propria terra d’origine. Nelle prossime settimane verranno allestite in Casa Minerbi. Successivamente identificheremo uno spazio museale. Perfetta – conclude Sgarbi – sarebbe una sala a lui dedicata a Palazzo Massari”.