Bologna

Scomparsa di Franco Varini, oggi il Sindaco Virginio Merola è intervenuto in apertura della camera ardente allestita a Palazzo d’Accursio

Il ricordo in Consiglio della Presidente Luisa Guidone e della consigliera Simona Lembi

BOLOGNA – Oggi, nella sala Tassinari di Palazzo d’Accursio, è stata allestita la camera ardente per dare l’ultimo saluto a Franco Varini. Il Sindaco Virginio Merola è intervenuto ricordando: “Ero legato a Franco da una profonda amicizia e ho ammirato la sua tenacia nel trasmettere ai giovani quello che aveva passato. Franco ha dovuto compiere da giovanissimo una scelta. Mi auguro che i giovani di oggi non debbano mai compiere una scelta come quella che è toccata a lui”.

La Presidente del Consiglio comunale Luisa Guidone ha partecipato al picchetto d’onore in rappresentanza del Consiglio e si è unita al ricordo letto in Aula, in apertura del Consiglio di oggi, dalla consigliera Simona Lembi.

Nel 2015, in occasione della giornata della Memoria, il Sindaco Virginio Merola e la Presidenza del Consiglio hanno consegnato la Turrita di bronzo a Franco Varini e a tutti i deportati bolognesi sopravvissuti ai Lager, che hanno partecipato alla seduta solenne del Consiglio comunale.
Il Comune di Bologna, nel 2017, ha ristampato il libro “Un numero, un uomo”, che Franco Varini aveva pubblicato nel 1982, per diffondere la conoscenza su quello che è accaduto nei campi di concentramento.

Di seguito l’intervento della consigliera Simona Lembi (Partito Democratico).
“Era nato il 5 agosto del 1926 a Bologna, la città in cui visse lungo tutta la vita. Licenza elementare, operaio meccanico, Franco Varini, è stato scritto di lui, in un bel ritratto di Federico del Prete pubblicato sulle pagine del Il Resto del Carlino nei giorni scorsi, “è sopravvissuto ai lager nazisti.”
Entrò nella resistenza giovanissimo, nella quinta Brigata Bonvicini-Matteotti guidata da Giuseppe Bentivogli, agendo prevalentemente insieme con Giorgi, Ferrucci, Magri e Tiziani, oltreché con il fratello.
Fu catturato, strana coincidenza questa, esattamente 75 anni fa, l’8 luglio del ’44, portato a Fossoli, dove rimase qualche giorno, poi a Bolzano, in seguito a Flossemburg, Ausburg, infine in un sottocampo di Dachau di nome Kottern.
Franco Varini subì interrogatori duri, lunghi e feroci affinché facesse i nomi delle persone con cui agiva. Nel suo appartamento trovarono solo una radio. Lo accusarono fosse collegata con Radio Londra, molto probabilmente per non essere riusciti a recuperare le armi che pure Varini nella sua abitazione deteneva, ma che il fratello, d’intesa con altri, aveva fatto sparire a seguito della notizia dell’arresto.
Fu liberato dalle truppe americane il 27 aprile 1945. Rientrò in Italia il 29 maggio dello stesso anno.

Per 30 anni nulla disse di quella esperienza. Poi, piano piano, con pudore, con lentezza, con fatica, cominciò a raccontare. E da allora, non si fermò più. Franco Varini ha speso una vita intera a raccontare l’orrore della deportazione, la ferocia del nazifascismo, la fatica del cercare un senso alle botte, ai numeri tatuati sulla pelle, ai mille modi per sopravvivere all’orrore dei Lager.
Lo ha raccontato attraverso due pubblicazioni: “Quei Ragazzi del ‘43” (pubblicato ne ’77) e “Un numero, un uomo”, del 1982 (ripubblicato dal Comune di Bologna recentemente) e soprattutto, lo ha fatto incontrando centinaia, nel suo caso direi meglio, migliaia di studenti, nelle scuole di ogni ordine e grado di Bologna. L’Istituto Mattei ne ha tracciato una preziosa testimonianza a seguito dell’incontro del 2008, solo per fare un esempio.

Desidero, in occasione di questo ricordo, fare tre brevi considerazioni. Franco Varini aveva appena 18 anni quando, il 5 agosto del ’44, gli fu comunicata, a Fossoli, la sua deportazione. Fu perseguito, arrestato e mandato nel Lager per il fatto di essere oppositore politico al nazifascismo. Quest’ora conta della brutalità di quel regime e del fatto che una intera generazione, giovanissima, seppe opporvisi, con coraggio e con determinazione, anche a costo della propria vita.
Franco Varini ebbe bisogno di 30 anni, prima di trovare le parole per raccontare quella feroce esperienza. Si tratta di un racconto comune a tutti coloro che riuscirono a tornare dai Campi. E questo lungo silenzio racconta più di ogni altra cosa, l’enormità e la gravità di quei fatti.
Franco Varini ha trascorso molta parte della sua vita a raccontare l’esperienza della deportazione, perché fosse noto quanto accaduto. Perché nessuno dicesse mai ‘io non sapevo’. Perché fosse possibile piantare semi di indignazione, di reazione nelle nuove generazioni. Affinché questo non abbia più ad accadere.

A Franco Varini è stata conferita la Croce di guerra al merito ed è stato riconosciuto Partigiano. Per il fatto di avere voluto e saputo trasmettere alle nuove generazioni quell’esperienza, a Franco Varini e a tutti i deportati bolognesi sopravvissuti ai Lager è stata consegnata la Turrita di bronzo, nel 2015, in occasione della giornata della Memoria.

Franco Varini è scomparso nei giorni scorsi, all’età di 93 anni. Si è appena chiusa la camera ardente che si è tenuta stamane in Comune a Bologna.
Ai suoi cari e alle persone che lo hanno conosciuto e gli hanno voluto bene, credo vada rivolto il nostro comune cordoglio”.

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Pubblicato da
Roberto Di Biase

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