+”Salvare Vite, una Professione “

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RIMINI – Nel ringraziare le cariche istituzionali e i soggetti politici che sono intervenuti, accogliamo con favore e pieno interesse le dichiarazioni che riconoscono nell’opera dei marinai di salvataggio
“un servizio indispensabile per le nostre spiagge” (Roberta Frisoni – Assessore Demanio +Rimini), “un ruolo strategico per il turismo balneare” (Emma Petitti – Presidente Assemblea Legislativa +ER) che riveste “questioni d’interesse generale e collettivo dei quali si deve fare carico l’intera comunità” (Mirco Botteghi – Segretario +CGIL), “un servizio di salvataggio di eccellenza” (Nadia Rossi – Assessore Regione +ER) e che merita un “futuro straordinario e sempre più professionale” (Marcello Monaco – Comandante Capitaneria di Porto +Rimini)

Come nella nostra indole, vigileremo con scrupolosa attenzione sugli sviluppi delle proposte emerse durante la presentazione del “Report Casistica 2020” ed il successivo dibattito a tema “Quale futuro per il Servizio di Salvamento nel riminese ?”

Chi si occupa di sicurezza non si affida al caso, ma cerca costantemente di analizzare le variabili con l’intento di ridurre l’incidenza dei rischi.

Fare il salvataggio significa “indossare la vita degli altri”, una responsabilità che richiede preparazione, attenzione e capacità di attivazione immediata; il concetto di “preparazione” si può declinare in aggiornamento, allenamento, simulazione.

Rileviamo ad oggi una pericolosa sproporzione tra la responsabilità e la difficoltà dei compiti a cui siamo chiamati ad adempiere e la colpevole negligenza della maggioranza dei datori di lavoro che da anni “mandano i propri salvataggi in torretta” senza che questi abbiamo ricevuto da personale specializzato un corso di aggiornamento sulle tecniche di rianimazione (come suggerirebbe il solo “buon senso” oltreché essere contemplato dal Contratto Integrativo Provinciale) e che abbiano avuto la possibilità di fare simulazioni, allenarsi, coordinarsi, provare, confrontarsi per maturare nella loro veste di soccorritori con l’unico obiettivo di ridurre i pericoli per tutti.

Quando questa formazione essenziale viene negata ai propri dipendenti che vengono assunti con il compito primario di salvare vite umane, strapparle dalla voracità delle onde e/o rianimarle sotto gli occhi di curiose folle di turisti e bagnanti, allora è lecito supporre che chi prende decisioni di questa portata etica e morale stia affidando l’incolumità dei turisti e della cittadinanza a PROFESSIONISTI i quali, doveroso rimarcarlo, fino ad oggi si sono accollati con spirito di responsabilità l’onere di provvedere in modo autonomo e di tasca loro alla propria formazione, professionalizzazione e allenamento.

Ricordiamoci che un soccorritore motivato, pronto e preparato contribuisce a rendere complessivamente più efficace il lavoro di squadra con i colleghi al suo fianco: un delicato meccanismo che necessita anni per instaurarsi e perfezionarsi e che diviene essenziale allorché si verifica un’emergenza perché “in mare da soli non si combina granché”.

Affermiamo senza paura di smentita che chi si occupa di gestire e innovare un settore così delicato debba essere un soggetto che possa vantare professionalità e competenze specifiche, altrimenti sarebbe come permettere al passeggero di un volo aereo di dare istruzioni circa l’atterraggio al pilota solo perché titolato dall’aver acquistato il biglietto per salire a bordo.

Sosteniamo con decisione che è ora che i marinai di salvataggio professionisti smettano di venire trattati come un fastidioso costo da ridurre e vengano valorizzati come una risorsa su cui tutto il sistema turistico è chiamato ad investire.

Da qui, da oggi, deve iniziare un percorso in cui le istituzioni e la società civile difendano e promuovano la professionalità dei marinai di salvataggio, non permettano di svilirne competenze e dignità in nome di logiche di risparmio d’impresa e che porti la provincia di Rimini a tornare ad essere un esempio di innovazione in campo di sicurezza in mare e in battigia.

Da sempre i progressi nel campo della sicurezza della balneazione sono stati tenacemente perseguiti dai salvataggi in servizio ed è sconsolante constatare che nell’ultimo decennio questa battaglia di civiltà sia stata portata avanti dalla sola Associazione Marinai di Salvataggio della provincia di Rimini che, non solo non ha trovato appoggi nel mondo balneare, ma di contro ha visto apertamente osteggiate le proposte di miglioramento che, vale la pena ricordarlo, sono frutto di un inestimabile capitale di esperienza sul campo e dell’analisi della casistica interventi.

Esempi eclatanti ne sono l’agguerrita resistenza opposta all’introduzione dei defibrillatori semiautomatici (DAE) in spiaggia (obbligo introdotto dall’Ordinanza Balneare Regionale 1/2014 * art.5 *capo C *punto 8), quando in più di un’occasione ai tavoli istituzionali abbiamo nostro malgrado dovuto assistere, da parte di alcuni rappresentanti dei balneari, a prese di posizione “negazioniste” (“non servono a nulla” .. “friggono le persone”) e l’introduzione sua sponte tramite l’ordinanza 17/2014 della Capitaneria di Porto promulgata in data 02.05.2014 del dispositivo per il soccorso ed il recupero pericolanti denominato “rescue can” (altrimenti chiamato “torpedo/baywatch”) come dotazione obbligatoria.

In quella occasione il Comandante Domenico Santisi richiese espressamente all’Associazione (che da anni ne testava l’efficacia nelle simulazioni e lo utilizzava nei corsi “Nuove Tecniche di Salvamento” organizzati in partecipazione con IRECoop)
una valutazione tecnica sull’utilità ed efficacia di suddetto dispositivo in alcune tipologie di intervento e recupero con particolare riguardo all’incolumità del soccorritore stesso; a parere dell’Associazione tale dispositivo “facilitando considerevolmente le operazioni di recupero e soccorso a nuoto del pericolante e garantendo la sicurezza dell’operatore, viene ritenuto propedeutico al miglioramento degli standard qualitativi del servizio di salvamento”.

Come immediata conseguenza di ciò, centinaia di salvataggi della riviera si videro somministrare dai propri datori di lavoro una lettera di abiura nella quale veniva loro richiesto di “sconfessare” la scelta del Comando e sostanzialmente di dichiarare che questo dispositivo salvavita risultasse “inutile e ingombrante”.

Alla luce di episodi di questa portata, lasciare questo servizio di vitale importanza nelle mani di aziende che perseguono il profitto attraverso il risparmio significa in definitiva scegliere un futuro in cui ogni forma di progresso rischia di venire asservita ad interessi economici.

Serve un cambio di paradigma per sostenere la cultura della salvaguardia della vita in mare:
lavoriamo insieme per migliorare gli elementi vincenti dell’offerta balneare di Rimini
e ricordiamoci che “la Sicurezza non ha nemici”.