Marco De Luca è probabilmente il frutto più maturo e consapevole di questo percorso accidentato e seducente, dove consapevolezza del materiale e dimensione progettuale convivono e si integrano per generare immagini astratte dove la luce degli smalti ammaestra le zone umbratili e opache dei marmi. Dove le suggestioni di uno spazio ricreato plasticamente instaurano un dialogo con l’architettura. Sculture di luce che si generano su forme plastiche originate da una passione quasi “filologica” nei confronti della ricchezza di una tradizione che ha nei brani ravennati una delle sue culle; una luce che si incarna in virtù della scelta e della selezione dei materiali, del taglio delle tessere e dei loro andamenti.
De Luca mette a soqquadro le ambizioni incerte e ambigue dell’artigiano, le rimostranze lamentose di un’“arte applicata” che non ha compreso le potenzialità e i pericoli dell’“età della tecnica”.
L’esposizione, allestita presso l’ex Chiesa in Albis di piazza Farini, è visitabile fino al 7 gennaio 2018 nei seguenti orari: martedì e venerdì ore 10.00-12.00, prefestivi e festivi ore 10.00-12.00 e 15.00-18.30 (chiusure: 25 dicembre e 1º gennaio).
Marco De Luca nasce nel 1949 a Medicina, in provincia di Bologna. Diplomato presso l’Istituto Statale d’Arte per il Mosaico a Ravenna, nel 1969 ottiene a Milano il primo Premio internazionale studentesco INA-Touring per la pittura. Nel 1973 si diploma all’Accademia di Belle Arti di Bologna. È in questi anni che collabora stabilmente con il laboratorio “Il Mosaico” di Carlo Signorini a Ravenna, dove ha la possibilità di lavorare a stretto contatto con grandi artisti, come Music, Dorazio, Turcato.
Risalgono agli inizi degli anni settanta le prime esposizioni personali, principalmente dedicate alla pittura. Nel 1977 la mostra alla Galleria comunale d’Arte Voltone della Molinella, a Faenza, con l’esposizione di vecchi intonaci strappati da case coloniche abbandonate, sancisce il sostanziale distacco dalla pittura. L’atto immediatamente successivo è il riavvicinamento al mosaico, scelto consapevolmente come suo mezzo espressivo. Questa scelta, fondamentale per il successivo percorso artistico, è principalmente dettata da una personale concezione del linguaggio musivo, nel quale scultura e pittura risultano pienamente coinvolte.
Già dai primi anni Ottanta l’approccio innovativo alla tecnica musiva si traduce nel totale abbandono del cartone, considerato fino ad allora parte integrante della progettualità musiva e ancora fondamentale per il mosaico inteso come parte applicata. Tra le opere di quegli anni «Archeologia topografica», del 1985, rappresenta uno dei primi lavori nei quali l’ampio bagaglio di conoscenze artistiche e scientifiche maturate sino a quel momento, si traduce in un linguaggio innovativo, capace di sfruttare pienamente la sintassi della tecnica musiva.
Dalla fine degli anni settanta al 2002 dedica ampio spazio all’insegnamento: è docente di discipline pittoriche all’Istituto statale d’Arte per il Mosaico Gino Severini e tiene il workshop «Mosaico» all’Accademia di Belle Arti di Ravenna.
Il 1982, anno di trasferimento definitivo a Ravenna, coincide con l’apertura di un proprio atelier e con la fondazione dell’Associazione Mosaicisti di Ravenna, della quale è vicepresidente e che costituisce una costola operativa dell’Associazione Internazionale Mosaicisti Contemporanei.
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