Giuseppe, originario di una provincia del Veneto, oggi ha 26 anni. Aveva fumato il suo primo spinello a 17 anni anni, «Più che altro per divertirmi», racconta. A 20 anni aveva già provato tutte le sostanze che era riuscito a reperire sul mercato. A 22 anni aveva aggredito violentemente il padre.
Nella Parrocchia della Resurrezione di Rimini, che fu del sacerdote riminese, il 26 dicembre alle 12 celebrerà l’Eucarestia Mons. Matteo Maria Zuppi, Presidente della CEI; seguirà un pranzo comunitario. I ragazzi che concluderanno ufficialmente il cammino quest’anno saranno 68 dall’Italia e 42 collegati in remoto dall’estero.
«I miei genitori — racconta Giuseppe — erano separati; li vedevo litigare ma non riuscivo a dirgli “anche io ci sto male”. La loro situazione mi aveva abituato a tenere le emozioni compresse dentro di me, ma non ritengo loro i responsabili del mio crollo», racconta.
Ha dovuto poi lavorare molto su di sé in un cammino fatto di costanza ed impegno: «Una cosa che mi ha cambiato la vita in Comunità è stata l’esperienza di servizio alle persone disabili, e ancora oggi ripensare al loro sorriso mi commuove. Fu mia sorella ad avviarmi al recupero».
Molte delle vittime di dipendenze si trovano alle prese con il problema della poli-assunzione: all’uso di sostanze si affianca sempre più spesso la dipendenza dal gioco d’azzardo, dall’alcol o altro.
È il caso di Massimo che oggi ha 47 anni, e che dopo circa due anni vissuti in una Comunità dell’Emilia oggi lavora come falegname. «A 15 anni fumavo le prime canne e a 20 anni iniziai ad assumere cocaina. Ma ho scoperto poi, grazie all’aiuto dei professionisti, che il mio problema più grave era l’alcolismo. Nascondevo le bottiglie a mia moglie. Avevo equilibrato le droghe e l’alcool come su una bilancia, per riuscire a dormire in un certo periodo anche due o tre ore per notte».
Il percorso di recupero all’interno delle realtà della Comunità Papa Giovanni XXIII dura in media 3 anni ed è costituito da 3 fasi: l’accoglienza, la comunità, il rientro.
Giovanni Paolo Ramonda, Presidente della Papa Giovanni XXIII, spiega: «Le comunità terapeutiche rimangono strumenti fondamentali nei percorsi di recupero della persona. La politica continui a prestare attenzione a queste realtà che ogni giorno lavorano nel silenzio: riescono ad attivare percorsi di consapevolezza e aiutano le persone che vivono il dramma delle dipendenze a ritrovare un senso per la propria vita».
Massimo oggi è diventato volontario in comunità al fianco dei nuovi arrivati. Giuseppe è iscritto all’Università, e così si rivolge alle giovani vittime: «Ad un certo punto ti pare sia impossibile riuscire a cambiare. Ma devi continuare a crederci. Chiedi aiuto; cerca di fare il più piccolo passo possibile verso una vita migliore».
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