Quando il sonno può mettere a rischio la vita: Congresso Europeo a Bologna sabato 15 dicembre 2018

187

Al V Seminario sulla Narcolessia saranno illustrate le possibilità terapeutiche attuali e future. All’incontro, previsto un aggiornamento sulle cause della malattia da parte del Prof. Emmanuel Mignot, massimo esperto della materia

BOLOGNA – Sabato 15 dicembre, al Centro Congressi dell’Hotel Relais Bellaria e presso l’Ospedale Bellaria di Bologna avrà luogo il V Seminario di diagnosi e trattamento multidisciplinare della narcolessia, “ Dalla telemedicina alla Cura Personalizzata”.

L’evento, organizzato dall’Istituto delle Scienze Neurologiche di Bologna, prevede quest’anno anche una sessione parallela, organizzata con l’Associazione Italiana Narcolettici e Ipersonni (AIN), rivolta ai pazienti e ai loro famigliari.

Giuseppe Plazzi, Professore Associato di Neurologia all’Università di Bologna e presidente AIMS (Associazione Italiana Medicina Del Sonno) spiega “La Narcolessia è una patologia neurologica caratterizzata da eccessiva sonnolenza diurna e attacchi di sonno incoercibili; chi ne soffre può addormentarsi improvvisamente nel corso di qualsiasi attività o subire repentini episodi di debolezza muscolare in concomitanza con stimoli emozionali come riso, sorpresa, rabbia…E’ di frequente insorgenza in età pediatrica (30 % dei pazienti) e, essendo una malattia rara, spesso non è diagnosticata correttamente o è identificata con notevole ritardo”.

L’Italia è al top dei Paesi europei nella diagnosi precoce, grazie alle campagne d’informazione condotte dall’AIN e dall’AIMS, e al progetto Red Flag che sarà presentato durante l’evento. Ideato da AIN con l’Istituto Superiore di Sanità e innumerevoli associazioni di medici specialisti in malattie del sonno e in altri campi medici, Red Flag è volto a identificare i campanelli d’allarme che conducono alla diagnosi precoce di narcolessia e a una sua gestione. “In Italia ancora non esistevano delle linea guida comuni per identificare questa malattia; attualmente i pazienti registrati in Italia sono circa 2.000 ma – dichiara il Professore Giuseppe Plazziparlando dal punto di vista epidemiologico, potrebbero essere oltre 25 mila le persone che non sono ancora state diagnosticate”. Conclude il professore Plazzi, che dirige anche il Centro per lo Studio e la Cura dei Disturbi del Sonno presso la stessa Università e l’IRCCS delle Scienze Neurologiche di Bologna “I trattamenti sintomatici possono migliorare il quadro clinico ed incidere fortemente sulla qualità di vita”.

Il Seminario è diviso in due sessioni contemporanee, una dedicata agli operatori sanitari (Ospedale Bellaria) e una dell’Associazione Italiana Narcolettici (Hotel Bellaria). Saranno presentate relazioni sulla diffusione della conoscenza della malattia e sulle possibilità terapeutiche attuali e future. Un tema centrale sarà quello della telemedicina per favorire una migliore individualizzazione delle cure, rendendole fruibili anche senza difficoltosi e onerosi spostamenti per i pazienti. Saranno inoltre organizzati workshop su situazioni clinicamente difficili da gestire.

Al termine, la sessione medica si riunirà alla sessione dei pazienti per uno scambio sulle novità illustrate durante il Seminario.

Ospite d’onore a entrambe le sessioni sarà uno dei leader mondiali nello studio della narcolessia, il Professore in Psichiatria Emmanuel Mignot della Stanford University; il luminare, nel 2009, ebbe per primo un’intuizione, recentemente confermata da una ricerca di un pool di ricercatori svizzeri che sarà premiata nel corso del seminario, che questa patologia fosse un fenomeno di autoimmunità impazzita; pubblicato su Nature Genetics , lo studio illustra come le nostre sentinelle linfocitarie, le cellule T, attaccano l’ipocretina, il neurotrasmettitore fondamentale nella regolazione dei ritmi sonno-veglia, perché non riconoscono i suoi geni HLA di superficie che identificano le strutture proprie rispetto a quelle estranee come virus o batteri.

L’importanza d’aggiornamento per una malattia identificata a fine Ottocento deriva dal fatto che, dopo essere rimasta per tanto tempo d’incerta diagnosi e senza un’adeguata terapia, sembra aver finalmente trovato soluzioni nuove. E altrettanto importante è il coinvolgimento del paziente e dei famigliari che possono infatti essere attori importanti nella prevenzione. Secondo studi scientifici, infatti, nei malati il rischio di essere vittima d’incidenti stradali risulta aumentato di dieci volte, ma cala se i parenti vigilano sul congiunto circa l’uso dell’auto e l’assunzione di farmaci che, per quanto finora non risolutivi, riducono le crisi di ipersonnia.