Dopo la collaborazione con il Museo Picasso di Malaga per l’esposizione “Y Fellini soñò con Picasso” (13 febbraio – 13 maggio 2018) e la mostra organizzata in occasione della terza edizione della Biennale Disegno di Rimini negli spazi di Castel Sismondo dal titolo “Federico Fellini. Il Corpo sognato” (28 aprile – 15 luglio 2018), il rapporto tra i due grandi geni del ‘900 viene nuovamente indagato.
Ogni volta, il Picasso sognato si mostra caloroso, amichevole e paterno, incoraggiando Fellini nella sua arte. Per il regista, Picasso è una “forza che irradia, uno stimolo, un compagno di viaggio”. Il Maestro di tutte le rivoluzioni artistiche del Novecento spunta in periodi di dubbio o di crisi per Fellini. Al sogno del 22 gennaio 1962 corrisponde il parto difficile di 8 1/2; a quello del 18 gennaio 1967 fanno eco l’impossibile nascita del Viaggio di Mastorna, che il regista dovrà abbandonare, e la lenta maturazione di Fellini Satyricon (1968), splendido adattamento dell’opera di Petronio; infine, il sogno del luglio 1980 giunge durante la progettazione di La città delle donne (1981), film attraverso il quale Fellini prova a penetrare i misteri dell’essenza femminile. Un quarto sogno, non rappresentato in disegno, ma legato anche lui a 8 ½, rivela un Picasso dotato di una forza fisica eccezionale, che invita Fellini a accompagnarlo in una nuotata vigorosa e a seguire una rotta conosciuta solo a loro. Questi sogni giungono proprio in momenti chiave del percorso artistico di Fellini, dove autobiografia, antichità e sessualità s’intrecciano e s’incontrano. Ecco gli ingredienti, seppur nascosti nei sogni, che lo uniscono a Picasso.
La mostra Quand Fellini révait de Picasso, curata da Audrey Norcia, in collaborazione con Matthieu Orléan per la Cinémathèque française, vuole valorizzare questo dialogo immaginario e la forza dei suoi echi tramite brani di film (ovviamente quelli di Fellini, ma anche quelli dove si vede Picasso, come Il mistero Picasso di Clouzot), manifesti spettacolari, fotografie vintage (tra cui una scelta di ritratti dei due artisti al lavoro), costumi barocchi (le maschere di Satyricon, il vestito bianco di 8 ½ ideato da Leonor Fini) e, soprattutto, opere originali che costituiscono il cuore del progetto: una sessantina di quadri, disegni e incisioni di Picasso, oltre che una ventina di disegni di sogni, schizzi fatti durante le riprese e “scarabocchi” – come li chiamava – realizzati da Fellini stesso.
Il percorso espositivo proposto tra questi due personaggi non deve essere inteso come un paragone, bensì come un dialogo oltre ogni effettiva comunicazione, oltre la distanza geografica e temporale, attraverso i temi che prediligevano entrambi: la donna (sia quella ideale, la Magna Mater, che la prostituta), il circo, i saltimbanchi, la corrida, la mitologia; in altre parole l’arte e la vita. Nell’astuccio porta attrezzi (o il vaso di Pandora, a seconda dei casi) – che comprende attori, comparse, decoratori, costumisti, tecnici della luce, produttori, ecc. – a cui attinge Fellini per realizzare i suoi film, Picasso è il talismano segreto da cui non potrebbe separarsi: l’artista per eccellenza al quale nulla resiste, né la materia, né i personaggi che trasforma e pietrifica sulla tela. Tutta la struttura della mostra poggia sulla finezza di questa messa in relazione, creando così una nuova prospettiva sui processi creativi comuni ai due artisti.
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