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Provincia di Reggio Emilia, Manghi: “Così la mafia ha ferito la nostra comunità”

Al processo Aemilia oggi è stato il giorno delle istituzioni

REGGIO EMILIA – Al processo Aemilia oggi è stato il giorno delle istituzioni.

Ad uno ad uno, a partire dall’assessore regionale alle Politiche per la legalità Massimo Mezzetti e dal presidente della Provincia di Reggio Emilia Giammaria Manghi, sul banco dei testimoni nell’aula-bunker allestita nel cortile del Palazzo di giustizia hanno iniziato a sfilare i rappresentanti degli enti locali che si sono costituti parte civile.

Oltre alla Regione ed alla Provincia, che si è costituita in nome e per conto di tutti i Comuni reggiani, oggi è stato il turno anche dei cinque Comuni che si sono costituiti singolarmente con il patrocinio dell’avvocato Salvatore Tesoriero del Foro di Bologna: Bibbiano, Brescello, Gualtieri, Montecchio e Reggiolo, rappresentati in aula dai rispettivi sindaci (dal commissario prefettizio nel caso di Brescello).

Primo rappresentante delle istituzioni reggiane a deporre, il presidente della Provincia Giammaria Manghi che ha ricordato di essere stato informato dall’allora colonnello provinciale dei carabinieri Zito della maxiretata che era stata da poco compiuta. “L’impatto fu molto forte sulle istituzioni e sui cittadini e all’indomani del blitz decisi di convocare subito per sabato 31 gennaio un’Assemblea dei sindaci, terzo organo previsto dalla legge di riordino delle Province, per una riflessione comune su quanto accaduto e sul danno molto forte che la comunità stava subendo – ha detto dinnanzi ai giudici il presidente Manghi – Fu una riunione estremamente partecipata e sentita, aperta da un saluto del prefetto Ruberto alla presenza di 42 degli allora 45 sindaci reggiani, che si chiuse con un documento approvato all’unanimità nel quale, oltre a ribadire i principi di legalità e di civile convivenza su cui si fonda l’identità del nostro territorio, si decideva di valutare la costituzione di parte civile per il danno ingente che la comunità reggiana stava subendo”.

Il presidente Manghi si è quindi soffermato proprio sulla definizione del danno che avrebbe poi spinto la Provincia e cinque Comuni – oltre al Comune capoluogo ed alla Regione – a costituirsi parte civile al processo Aemilia. “Un danno di immagine certamente, penso a titoli come “Qui le mafie hanno trovato l’America” o “Il sacco di Reggio: le mani delle cosche sulla città”, oltre ad un diffuso allarme sociale, ricordo che nelle testimonianze che via via si evincevano si parlava anche di bazooka, detonatori, bombe a mano…”.

“Ma il vulnus riguardò anche gli strumenti fondativi del nostro tessuto istituzionale, a partire dallo Statuto della Provincia di Reggio Emilia che già nella precedente versione si riconosceva nei valori della Resistenza, della nostra Costituzione e nella lotta contro ogni forma di eversione e che, anche dopo la modifica statutaria del 2015, all’articolo 5 impegna l’ente ad agire all’insegna della trasparenza e della prevenzione della diffusione dei fenomeni corruttivi– ha detto ancora il presidente Manghi – Infine, aspetto altrettanto grave, l’evidente tentativo di codificare uno Stato ombra eversivo avente l’intento di sostituirsi allo Stato democraticamente eletto”.

Il presidente Manghi ha poi ricordato l’impegno anche normativo con il quale la Provincia, “anche prima della mia presidenza e dunque ben prima dell’operazione Aemilia”, si è sempre impegnata nell’azione di contrasto ai tentativi di infiltrazione mafiosa: “Dai Protocolli per la legalità avviati, in particolare nel settore degli appalti pubblici, già nel 2010 in stretta sinergia con l’allora prefetto De Miro allo schema di parere sulle varianti urbanistiche raccomandato dalla Provincia ai Comuni dal 2012, in cui si richiamavano iniziative analoghe alle informazioni antimafia”.

Rispondendo a una domanda del presidente del Tribunale, Francesco Maria Caruso, finalizzata a sapere se e come anche prima dell’operazione Aemilia le istituzioni avessero avuto sentore di tentativi di infiltrazione da parte della criminalità organizzata, il presidente Manghi ha citato “come primi campanelli d’allarme nel 2011 la lunga e complessa vicenda legata all’interdittiva alla Bacchi, una azienda molto conosciuta nella Bassa, e alcuni casi di incendi, in particolare il maxirogo in un deposito di autocarri a Reggiolo nel 2012”.

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Pubblicato da
Roberto Di Biase

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