Piacenza

Piacenza, Cerimonia di commemorazione della tragedia della Pertite

Il discorso dell’assessora Piroli

PIACENZA – L’assessora Piroli: “Noi fummo vittime, le prime, di una guerra nefasta. Mentre per pane fabbricavamo strumenti di morte”. Recitano così, le ultime righe apposte sulla targa alle mie spalle, prima di elencare i nomi delle 47 persone che in quell’8 agosto del 1940, uccise o ferite in modo irreversibile dall’esplosione che sventrò lo stabilimento della Pertite, non fecero più ritorno a casa. Insieme a loro, in un pomeriggio d’estate improvvisamente avvolto dalla coltre spessa di un fumo denso, grigio e giallastro, erano al lavoro circa un migliaio di operai, donne e uomini che a quella catena di montaggio, in quella polveriera devastata da due scoppi ravvicinati e violenti, caricando proiettili e maneggiando, giorno dopo giorno, materiale altamente pericoloso, mantenevano con dignità e fatica i propri figli.

Centinaia i feriti, trentanove i bambini e ragazzi sotto i quindici anni che rimasero orfani a seguito di quel drammatico evento. La città, sconvolta, si strinse intorno alle famiglie dei caduti, condividendo lo sgomento e la paura che – negli istanti in cui migliaia di vetri andarono in frantumi nelle case dei piacentini e piovve sabbia sulle strade, sui tetti, sui terrazzi assolati – avevano ammantato non solo i quartieri dell’Infrangibile e di Sant’Antonio, ma il cuore dell’intera comunità. Ancora una volta, dell’ingranaggio efficiente e operoso della fabbrica non restavano che le macerie.
Era già successo dodici anni prima, il 27 settembre 1928, quando un’altra deflagrazione aveva fatto registrare 13 vittime e tre feriti gravi, mentre altrettante persone riportarono, fortunatamente, conseguenze più lievi. Oggi, al cospetto delle lapidi che rendono omaggio a chi è morto, “come in trincea” indossando la tuta blu, dedichiamo a ciascuno un pensiero commosso e partecipe. E’ anche nel loro nome, che anno dopo anno riaffermiamo ad alta voce, con una solennità che non è retorica ma rispetto, il bisogno di verità e giustizia per le vittime del lavoro.

Quando ricordiamo che le cause di questa immane tragedia, a settantasei anni di distanza, non sono mai state chiarite, ribadiamo con forza che c’è sempre un responsabile. Non il rogo che divampa nell’acciaieria, non le fiamme dell’olio che brucia, ma l’azienda che non ha voluto sostenere i costi per ricaricare gli estintori, formare il personale in caso di emergenza, controllare gli idranti o l’impianto antincendio. Non il muratore che cade dall’impalcatura, ma l’impresa che non gli ha garantito le adeguate misure per difendersi. “A precipitarlo giù – ha scritto Renzo Baricelli, rievocando in poesia la morte in un cantiere edile di un ragazzo di vent’anni – una verità sempre occultata”.
E possiamo davvero dirci lontani, in questo 8 agosto che segna anche la Giornata del sacrificio del lavoro italiano nel mondo, dai giacimenti di Marcinelle, dove sessant’anni fa 262 minatori restarono intrappolati tra il fuoco e le esalazioni? Venivano da Paesi diversi, tutti in cerca di una speranza nuova per costruirsi il futuro. Tra loro, 136 erano nostri connazionali e il presidente dell’associazione delle vittime, Nino Di Pietrantonio, lo ha detto con chiarezza nei giorni scorsi, sulle pagine de “La Stampa”: quello di chi perde i propri affetti in simili circostanze non sarà mai un dolore solo privato. “Non si può dimenticare – ha dichiarato – che c’è stato un tempo in cui la vita umana valeva meno di un pezzo di carbone”.
Quel tempo, purtroppo, è ancora il presente. E non solo in luoghi per noi remoti – eppure così vicini, in un mondo globalizzato – come le miniere indiane in cui 20 mila bambini, invece di andare a scuola, inalano quotidianamente polveri nocive e trasportano pietre pesanti per estrarre la mica, minerale utilizzato per rendere scintillanti le vernici delle nostre auto e i nostri cosmetici. E’ il presente anche entro i nostri confini, dove si coltivano i prodotti d’eccellenza dell’agricoltura italiana, tra i braccianti che illegalmente lavorano in condizioni inumane, schiacciati dal caporalato e dalla mancanza di tutele.

Diviene un segnale molto positivo, allora, la recente approvazione del Ddl contro il caporalato: una legge per la legalità di grande civiltà, che l’Italia aspettava da anni come cambiamento fondamentale per fare in modo che nessuno debba più scegliere tra lavoro e dignità. Così come importante è la prevenzione, nei luoghi di lavoro e a partire dalle giovani generazioni. Voglio ricordare i laboratori di sicurezza che si sono tenuti presso la primaria Alberoni in occasione della Giornata mondiale della Salute e Sicurezza nei luoghi di lavoro, che si è celebrata il 28 aprile scorso e che a Piacenza ha visto collaborare attivamente Comune, Ausl, Lilt, Anmil, Ambiente e Lavoro, le organizzazioni sindacali, Confedilizia, Cna e Confapi.
Denunciare ancora, in questa circostanza così significativa per la storia della nostra città, che non possiamo accettare tutto questo, vuol dire onorare anche la memoria delle vittime della Pertite. Uccise dalle condizioni di instabilità e pericolo della polveriera. O brutalmente assassinate da una mano ignota, nel precario equilibrio politico e sociale di una Nazione che di lì a poco si sarebbe ufficialmente schierata sul fronte di guerra. Annichilite e umiliate da quel silenzio di regime che non volle fare luce sull’accaduto e che ora, mentre ci raccogliamo per esprimere la nostra indignazione e il nostro cordoglio, si fa più che mai assordante.
E’ anche a quella censura vile, che oggi rispondiamo con la nostra presenza. A quella mancanza di trasparenza che non è tollerabile in un Paese democratico, che crede nel valore della pace, dove il lavoro deve avere dignità, garanzie, regole uguali per tutti. Grazie a tutti i presenti, uniti nel ricordo di una tragedia avvenuta nel luogo in cui sorgerà un parco pubblico, segno della volontà di questa Amministrazione di promuovere, sempre di più, una qualificata sostenibilità ambientale.”

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Pubblicato da
Donatella Di Biase

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