Il convegno, con il prezioso apporto logistico-organizzativo di Alessia Bovo (collaboratrice dell’insegnamento di Papirologia dell’Università di Parma), avrà inizio alle ore 10 e vedrà come ospite d’eccezione Kim Ryholt (professore di Egittologia all’Università di Copenhagen) che illustrerà il lavoro di Botti sui frammenti papiracei fiorentini da Tebtynis. Seguiranno lungo tutta la giornata gli altri interventi. Marco Botti (scrittore, pronipote e biografo dell’egittologo) rievocherà “La riscoperta di Giuseppe Botti” presentando il volume Una vita per la Papirologia demotica, la raccolta di tutti gli ‘scritti minori’ del personaggio, curata da Alessia Bovo e in corso di stampa per la collana “Papyrotheke” dell’editore locale Athenaeum. Gli egittologi Marco De Pietri (Università di Pavia) ed Elena Urzì (Sapienza Università di Roma) presenteranno due aspetti dell’attività scientifica di Botti: “Un cimelio prezioso: Giuseppe Botti e i papiri di Pavia” e “Giuseppe Botti e il capo dei medici Menna”. Alessia Bovo (Università di Parma) illustrerà il progetto in corso su “Papiri letterari greci da Tebtynis in studio all’Università di Parma”. Nicola Reggiani (Università di Parma), infine, parlerà di “Giuseppe Botti a Parma”.
La giornata rientra in un ciclo di convegni intitolato a Isabella Andorlini, già professore di Papirologia all’Università di Parma.
Giuseppe Botti (1889-1968), di cui domenica 3 novembre è ricorso il 130° anniversario della nascita, è stato il primo italiano ad essersi occupato della decifrazione e dello studio dei papiri egiziani scritti nella difficile grafia corsiva demotica. Nato a Vanzone Con San Carlo (VB) da famiglia emigrata dalla provincia di Parma, precisamente da Romezzano di Bedonia, luogo a cui fu sempre legato e in cui si recava sempre per le vacanze estive, Botti si formò al Museo Egizio di Torino sotto la guida del celebre Ernesto Schiaparelli, studiò il demotico a Praga con František Lexa, e fu per molti anni conservatore alla Sezione Egizia del Museo Archeologico di Firenze, dove si occupò fra l’altro dei frammenti demotici rinvenuti nel 1931 dagli scavi italiani di Carlo Anti a Tebtynis, nell’oasi del Fayum, studiati anche in cooperazione col collega Aksel Volten di Copenhagen. Negli ultimi anni di vita fu professore ordinario di Egittologia all’Università di Roma “La Sapienza”. Oltre alla prima edizione di fondamentali documenti demotici e ieratici come il “giornale della necropoli di Tebe” (i registri contabili delle attività operaie alle tombe reali di Deir el-Medina) e il “papiro del Lago Moeris” (un testo cultuale in onore del dio-coccodrillo Sobek, signore delle acque del Fayum), a Botti si deve la sistemazione e la catalogazione di alcune collezioni egizie italiane, fra cui quella del Museo Archeologico di Parma (a lui si deve, fra l’altro, la corretta identificazione del rilievo parietale dalla tomba di Amenemone, dignitario del faraone Amenhotep III nella prima metà del XIV secolo a.C.). Insegnante di un’intera generazione di egittologi e orientalisti (da Silvio Curto ad Alessandro Roccati a Paolo Matthiae), era noto ad amici e colleghi come “il santo Botti” per la sua umanità e la sua disponibilità.
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