Un weekend, dal 31 agosto al 1 settembre, per scoprire un prodotto lanciato a Parma più di un secolo fa
PARMA – L’eccellenza italiana in cucina? Nasce con il classico “effetto valanga”. Solo che al posto dell’iniziale palla di neve c’è un pomodoro. Rotolando ha trainato con sé tutte le altre filiere, le conserve, i salumi, i latticini, la pasta e via dicendo, in un crescendo che ha cambiato il volto – e soprattutto le tavole – del Paese. Questa storia avvincente e ricca di colpi di scena non poteva che svolgersi nel territorio di Parma, Città Creativa UNESCO per la Gastronomia, capitale dell’agroalimentare italiano.
Il prossimo Tomaca Festival, nel weekend del 31 agosto – 1 settembre, è l’occasione per raccontarla e fare la conoscenza della verdura, anzi frutto (nazional)popolare per eccellenza, da Rita Pavone – il 45 giri di “Viva la pappa col pomodoro” è tra i memorabilia del Museo del Pomodoro, tra Collecchio e Ozzano Taro in provincia di Parma – in poi. Organizzato dall’Azienda Agricola Sperimentale Podere Stuard in collaborazione con i Comuni di Collecchio e Parma, trova il suo spazio nel Settembre Gastronomico il Tomaca Festival, per riunire i grandi protagonisti: la grande distribuzione, le piccole aziende, gli agronomi, i nutrizionisti, gli chef, il circuito dei Musei del Cibo, gli appassionati. Un evento diffuso, che si svolge nei luoghi simbolo della produzione: dalla Corte Giarola, a pochi chilometri da Parma, sede del Museo del Pomodoro, ai Portici del Grano, in pieno centro città, fino ai locali del Podere Stuard.
In programma la Tomaca Bike, divertente pedalata amatoriale nei luoghi del pomodoro, in partenza alle 9.30 di fronte al Municipio di Collecchio, con pranzo in corte Giarola vicino Parma e laboratori per i più piccoli al museo, un “pranzo rosso” in loco e una “cena rossa” presso il Podere Stuard, una mostra mercato nella giornata di domenica. Numerosi i momenti dedicati allo studio e alla divulgazione dei segreti del pomodoro, anzi, dei pomodori, nelle loro diverse varietà, a partire dal Riccio di Parma, antesignano dell’odierno pomodoro da conserva, salvato dall’oblio. Gli appassionati potranno visitare il “campo catalogo” Stuard-Barilla presso il Podere Stuard, che riunisce piante di pomodoro di ogni genere, partecipare sabato alle 16 alla tavola rotonda alla Corte di Giarola con esperti del settore dedicata al frutto dal punti di vista agronomico, tecnico, nutrizionale.
Viaggio nel distretto del pomodoro Made in Parma
L’occasione per fare la conoscenza di chi oggi porta avanti il settore: dalle grandi aziende, come Rodolfi, Pagani, Pezziol, alle piccole realtà, come la già menzionata Stuard, che fa ricerca sulle varietà e gestisce una filiera completa, o ancora, l’Azienda Agricola Ca’ d’Alfieri, situata a Bardi, specializzata in orticoltura biologica in serra e a pieno campo, che produce passate di pomodoro e salse, entrambe membri del Club di prodotto Parma City of Gastronomy.
L’apertura di alcune di esse al pubblico, per degustazioni ed esperienze è un momento privilegiato di scoperta del territorio e dei suoi sapori più autentici. Agricoltori e agronomi sono pronti a raccontare l’eccellenza parmigiana, fatta di tradizioni, savoir faire, ostinazione, costanza. Gioca il suo ruolo anche il territorio generoso, con condizioni pedoclimatiche particolarmente favorevoli alla coltivazione di piante che solitamente trovano dimora più a sud, come appunto i pomodori.
Dal pomodoro alla nascita della Food Valley
E l’effetto palla di neve citato prima? È una storia troppo interessante per essere taciuta. Per raccontare cosa lega indissolubilmente il pomodoro a Parma – più che ad altre realtà della Campania e del Sud Italia, tradizionalmente associate a questo prodotto – bisogna fare un passo indietro.
Arrivato in Italia nel ‘500 sulla scorta dei conquistadores, il pomodoro ha scontato un’iniziale diffidenza durata almeno due secoli, in quanto considerato non commestibile: utilizzato alla stregua di pianta ornamentale, curiosità esterofila da orto botanico, viene finalmente “scoperto” come ingrediente a fine ‘700. Cuocendolo per ore lo privavano dell’acqua fino a trasformarlo in un composto solido come stucco, la “conserva nera”, una sorta di dado che insaporiva e colorava i piatti. Tutto bene, finché in Emilia non accade l‘impensabile: il disastroso crollo del prezzo del grano – dovuto al “dumping”, ovvero le importazioni a basso costo da oltreoceano – costringe gli ostinati contadini emiliani a trovare un’alternativa più redditizia. D’altronde, per ogni crisi c’è un’opportunità da cogliere. Siamo all’inizio del ‘900, si affrontano due scuole di pensiero: se il direttore della Scuola Agraria Carlo Rognoni propone la barbabietola da zucchero da raffinare previo accordo con gli zuccherifici, il direttore della “cattedra ambulante” di Agricoltura Antonio Bizzozero parteggia per il pomodoro, da trasformare direttamente. Sul lungo periodo vince il secondo, il resto è storia.
Con le prime scatole di latta inventate in Francia nasce la produzione di conserve, aprono ben 72 fabbriche: i fabbri locali si specializzano e danno impulso all’industria meccanica agroalimentare che vede Parma leader mondiale ancora oggi. Ma soprattutto il pomodoro “mette tutti in riga”, crea un sistema di filiere cugine o sorelle, che lavorano in sintonia. Chi in estate coltiva il pomodoro in inverno fa salumi, chi produce il Parmigiano Reggiano conferisce il siero ai primi, per nutrire i maiali. Quanto alla filiera della pasta, altra produzione regina del territorio, inutile dire come si sposi bene con il pomodoro – e una generosa spolverata di formaggio grattugiato. È la nascita della Food Valley, così ben raccontata dai Musei del Cibo che sorgono intorno a Parma, membri del Club di Prodotto Parma City of Gastronomy.
INFORMAZIONI: www.parmacityofgastronomy.it