Il pregiudizio – per definizione – non è basato sui fatti. È espressione di opinioni comuni. Appartiene a quel tipo di opinioni che tendono a resistere al cambiamento anche alla luce di nuove conoscenze. Il pregiudizio è negativo: un atteggiamento di rifiuto o di ostilità verso una persona in quanto appartenente a un gruppo. Si fonda su quelli che la psicologia definisce “stereotipi”, attribuzioni di determinati tratti a un gruppo, minoritario o socialmente debole, da parte di altri.
Il pregiudizio svolge una precisa funzione psicologica all’ interno di un gruppo, contribuendo a definire e rafforzare l’identità sociale dello stesso con la partecipazione emotiva legata al senso di appartenenza. Quanto più tale identità è percepita come minacciata, tanto più si tende a preservarla o a ricostituirla categorizzando e semplificando l’ambiente sociale. Si accentua il contrasto noi/altri, magnificando l’immagine di sé e denigrando quella degli altri, ora come allora.
“Tale processo psicosociale porta alla discriminazione di individui e gruppi diversi dal ‘noi’ e può alimentare o giustificare giudizi negativi e ostilità. Si può manifestare con comportamenti violenti ‘banali’, tristemente comuni, fino ad arrivare a vere proprie persecuzioni e allo sterminio come nel caso della Shoah.” Commenta Anna Ancona, Presidente dell’Ordine degli Psicologi dell’Emilia-Romagna.
La storia della Shoah è indubbiamente legata all’ antisemitismo, all’odio e al pregiudizio nei confronti del popolo ebraico, basato sull’ assegnazione a tutti gli ebrei di caratteristiche uguali.
“Riflettere sulla Shoah e sullo sterminio nazista è un’occasione per mettere in guardia da ignoranza, discriminazione e intolleranza etnica, soprattutto in un momento storico caratterizzato da un clima socio-culturale che favorisce un atteggiamento di chiusura, inducendo ‘paure dell’altro, del diverso’, come nel caso dei migranti. L’immigrazione rischia di essere identificata come la causa di insicurezza e malessere, minaccia della stabilità economico-sociale ed essere associata a un pericolo che deve essere evitato o addirittura eliminato. Messaggi che innescano la paura di essere aggrediti, la rabbia per non essere difesi e un senso di grande sfiducia verso le istituzioni, creano una situazione adatta alla nascita di avversioni e risentimenti xenofobi.” Aggiunge Anna Ancona, Presidente dell’Ordine degli Psicologi dell’Emilia-Romagna.
“Attualmente un ruolo determinante viene svolto dai mezzi di comunicazione, che spesso tendono ad amplificare eventi e situazioni che coinvolgono migranti sviluppandone una visione negativa. La portata comunicativa dei mass media fa sì che i dati di realtà, anche positivi, del fenomeno migratorio finiscano sullo sfondo dell’informazione, mentre in primo piano viene trasmesso il messaggio che è necessario avere paura degli ‘stranieri’ e, quindi, difendersi da loro. Vanno in questa direzione anche i social network, che hanno il potere di raggiungere milioni e milioni di persone, consentendo la diffusione anche dei pensieri più violenti.” Continua la Presidente Ancona.
“Lottare contro un nemico irreale può costituire una fuga da un quotidiano difficile e permette di riversare parte della frustrazione e della rabbia verso un capro espiatorio costruito. Anche per questo un certo tipo di suggestioni ha un grande potere di penetrazione nella popolazione. Il Giorno della Memoria non deve essere solo un modo formale e rituale di ricordare la tragedia dell’Olocausto, ma un’occasione per acquisire conoscenza e consapevolezza: sapere e comprendere affinché non accada più, interiorizzando il concetto che ogni persona è unica, ha valore e dignità.” Conclude Anna Ancona, Presidente dell’Ordine degli Psicologi dell’Emilia-Romagna.
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