Studio condotto dal gruppo coordinato dalla docente Carolina Boni del Dipartimento di Medicina e Chirurgia all’interno del Laboratorio di Immunopatologia virale
PARMA – È dedicata all’identificazione di nuovi predittori di risposta ai trattamenti immuno-modulanti per l’epatite cronica B una ricerca dell’Università di Parma recentemente pubblicata su “Gut”, la rivista ufficiale della British Society of Gastroenterology, che proprio in questi giorni ne riporta in prima pagina il visual abstract.
Il gruppo di ricerca, coordinato dalla docente del Dipartimento di Medicina e Chirurgia Carolina Boni e composto da Andrea Vecchi, Marzia Rossi e Camilla Tiezzi, opera all’interno del Laboratorio di Immunopatologia virale diretto da Gabriele Missale, docente del Dipartimento di Medicina e Chirurgia dell’Ateneo e Direttore dell’Unità operativa di Malattie infettive ed Epatologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma.
L’epatite cronica B (CHB) continua a rappresentare un problema socio-sanitario di grande rilevanza a livello globale, con oltre 250 milioni di persone nel mondo cronicamente infettate dal virus HBV.
Oltre che sviluppare nuove terapie e personalizzare quelle esistenti sulla base delle caratteristiche individuali delle pazienti e dei pazienti, è importante oggi identificare nuovi algoritmi diagnostici predittivi di possibile risposta alle terapie, per evitare trattamenti inutili in categorie di pazienti che presentino caratteristiche che li rendano non responsivi alle terapie disponibili.
Studi recentemente pubblicati dal Laboratorio di Immunopatologia virale sotto la supervisione di Carlo Ferrari prima e di Gabriele Missale e Carolina Boni poi, con il supporto di finanziamenti del Ministero dell’Università e della Ricerca, della Regione Emilia-Romagna (Programma di Ricerca Regione-Università 2010-2012) e di Gilead Sciences S.r.l., hanno fornito significativi contributi sia al disegno di nuove terapie anti-HBV, identificando nuovi bersagli molecolari per il ripristino delle risposte immunitarie deficitarie (studio coordinato da Paola Fisicaro e pubblicato sulla rivista Journal of Hepatology), sia all’identificazione di nuovi marcatori fenotipici predittivi di risposta ai nuovi trattamenti immunomodulanti.
Lo studio coordinato da Carolina Boni e pubblicato sulla rivista “Gut”, intitolato HBcrAg values may predict virological and immunological responses to pegIFN-α in NUC-suppressed HBeAg-negative chronic hepatitis B, amplia ulteriormente gli strumenti clinici disponibili per personalizzare il trattamento dell’epatite B, identificando nuovi marcatori predittivi di risposta all’interferone-alfa. La disponibilità di questi marcatori potrebbe dare nuovo spazio applicativo ad un farmaco potenzialmente importante come l’interferone-alfa, oggi poco utilizzato a causa degli effetti collaterali che può indurre e che graverebbero su una troppo ampia percentuale di pazienti in assenza di predittori di risposta che ne permettano un uso mirato sui soggetti responsivi.
Attraverso un’analisi laboratoristica integrata di marcatori virologici sierici e di parametri immunologici cellulari, sia già disponibili in clinica sia innovativi, si è potuto osservare come l’IFN-alfa somministrato in combinazione con gli analoghi nucleos(t)idici (NUC) potenzi le risposte immunitarie proteggenti, soprattutto dei linfociti T HBV-specifici, fornendo ulteriori elementi utili per interpretare il meccanismo d’azione dell’interferone-alfa nell’epatite B. Estremamente rilevante è stato osservare che bassi livelli di un nuovo marcatore sierico virale (HBcrAg, “core-related antigen”) prima dell’inizio della terapia con interferone-alfa predicono l’efficacia del trattamento e l’effetto benefico dell’interferone sul ripristino delle risposte immunitarie proteggenti dei linfociti T. Questi risultati suggeriscono come i valori di un parametro sierologico di facile determinazione in qualunque laboratorio diagnostico come l’HBcrAg rappresentino un predittore diagnostico sensibile, utile per selezionare le pazienti e i pazienti con maggiori probabilità di rispondere alla terapia con interferone alfa-peghilato. Ciò potrebbe avere ovvie implicazioni cliniche per quanto riguarda la progettazione di terapie più personalizzate per l’epatite cronica da virus B.
Lo studio ha avuto un’estesa e complessa fase clinica, coordinata a Parma da Carolina Boni unitamente al supporto della Study coordinator Diletta Laccabue, che ha coinvolto altri cinque centri clinici specializzati nella gestione e nella cura delle epatopatie croniche, quali la Divisione di Gastroenterologia ed Epatologia del Policlinico di Milano, l’Unità di Epatologia dell’Ospedale Universitario di Pisa, l’Unità di Medicina Interna dell’Ospedale di Modena e le unità di Malattie Infettive dell’Ospedale di Reggio Emilia e dell’Ospedale Sant’Orsola di Bologna.