Risposta in massa dei commercianti di Rimini all’indagine regionale “Come sono andati i primi giorni di riapertura”
RIMINI – I commercianti di Rimini hanno risposto in massa al questionario proposto da Federazione Moda Italia—Confcommercio dell’Emilia Romagna che ha monitorato la prima settimana di riapertura dopo il lockdown.
I DATI – I negozianti riminesi che hanno risposto all’indagine “Come sono andati i primi giorni di riapertura” vendono per il 57% abbigliamento, intimo e sport, per il 14% calzature e accessori e per il 29% altri beni e articoli per la persona. Nel 16% dei casi dichiarano di non avere avuto clienti nei primi giorni di riapertura, mentre per il 58% i clienti sono stati pochi, per il 22% abbastanza e solo il 3% ha visto entrare in negozio molti clienti. Chi ha fatto realmente acquisti sono stati pochi (48%), abbastanza (43%) e molti (9%). Rispetto ad una settimana tipo dello stesso periodo stagionale, per il 40% dei commercianti gli incassi sono diminuiti oltre il 60%, mentre il 24% degli esercenti ha visto un calo di incasso dal 41 al 60%, il 14% ha constatato incassi in calo dal 21 al 40%, mentre per il 16% gli incassi sono rimasti stabili rispetto al passato, con un 2% di negozi che dichiara anche un aumento di incasso fino al 20%. Se il 29% dei commercianti non ha trovato difficoltà pratiche con la clientela, la stessa percentuale lamenta che la propria clientela non è stata molto disciplinata nel seguire le indicazioni dei protocolli, il 17% ha trovato i clienti più diffidenti rispetto al solito e il 10% ha dovuto richiamare le persone per obbligarle all’uso della mascherina. I commercianti di Rimini hanno anche tenuto la barra a dritta sugli sconti. Nonostante la liberalizzazione delle promozioni deliberata a partire dal giorno della riapertura, ovvero dal 18 maggio, il 42% non ha applicato sconti e il 40% ha scontato la merce fino al 20%, mentre l’11% ha applicato fino al 30% di sconto.
L’ANALISI – “Da questo sondaggio capiamo una volta di più quanto sia forte la voglia di ripartenza da parte dei commercianti del settore moda – commenta Giammaria Zanzini, rappresentante provinciale, vicepresidente regionale e consigliere nazionale di Federmoda-Confcommercio – circa il 90% degli operatori ha infatti riaperto la propria attività dopo il via libera del 18 maggio, ma la strada verso la normalità appare lunga e faticosa come ci dicono i dati su affluenza di clienti e incassi.
Ritengo normale che la cifra dei nostri associati che hanno scontato la merce oltre al 30% sia irrisoria: una cosa ovvia, perché un negozio di vicinato non si può permettere di ripartire con sconti di grandi proporzioni per non rimetterci tutta la marginalità. Per questo sono stato fortemente contrario alla liberalizzazione delle promozioni, decisione che ancora una volta gioca ad esclusivo favore dei grandi brand e delle catene monomarca che stanno già applicando sconti oltre il 50% mettendo in atto una cannibalizzazione del mercato con sconti a cui i commercianti di prossimità non possono stare dietro. Non ero contrario alle promozioni per incentivare gli acquisti dopo il lockdown, ma avevo proposto che venisse fissato un tetto massimo del 30% fino all’arrivo dei saldi, giustamente posticipati al 1° agosto, per tutelare i piccoli commercianti. Così non è stato e già registriamo notevoli difficoltà nel tenere la concorrenza dei big internazionali, di outlet ed e-commerce.
A queste difficoltà si aggiungono altri due nodi, uno che riguarda l’accesso al credito e l’altro i rapporti di filiera. Ancora molti di noi sono alle prese con autentici bracci di ferro con la burocrazia: abbiamo casi in cui gli istituti di credito deliberato il buon esito delle pratiche per i finanziamenti con garanzia statale fino a 25.000 euro, ma se lo vedono negare dal Fondo Centrale di Garanzia, che non è tenuto nemmeno a comunicare le motivazioni dei dinieghi. Così non si può andare avanti: soprattutto alle micro imprese servono finanziamenti e liquidità immediati, non rimpalli tra enti e lunghe attese che non trovano risposte.
In due mesi di totale chiusura i nostri magazzini sono rimasti pieni di merce e già dobbiamo fare gli ordini per la stagione autunno/inverno, ma dall’altra parte troviamo un muro da parte dei produttori, che fanno valere le clausole su contratti firmati in tempi pre-crisi e non vogliono saperne di avere resi o di consegnare merce in conto vendita. Purtroppo non c’è stata una divisione dei rischi, ma uno scarico sull’ultimo anello della catena, ovvero il piccolo rivenditore, senza capire che è proprio quell’anello che tiene in piedi tutta la filiera. Se vengono a meno i negozi di vicinato, saltano tutte le filiere del tessile, del calzaturiero, della pelletteria con il conseguente crollo di tutto l’indotto. Per questo continueremo a lottare: nel retail moda sono a rischio estinzione 17.000 punti vendita e 35.000 posti di lavoro per oltre 15 miliardi di euro di giro d’affari in Italia.
Insomma, i problemi non mancano. Eppure continuiamo ad essere fiduciosi e ad amare il nostro lavoro. Per questo vorrei ancora una volta fare un accorato appello alle persone di preferire le aziende del territorio, i negozi di vicinato, i prodotti made in Italy. Una scelta d’acquisto consapevole adesso può davvero fare la differenza per il rilancio di tutta la nostra comunità”.