Rimini

Nota di Andrea Gnassi

RIMINI – Con l’anima divisa in due. Così accolgo la sentenza del Tribunale di Rimini che, ieri, ha stabilito sentenza liberatoria e dissequestro di tutti i beni nei confronti miei, di Alberto Ravaioli, di Stefano Vitali, di Nando Fabbri, di Lorenzo Cagnoni, di Manlio Maggioli in ordine a fatti contestati nella vicenda Aeradria.

Una decisione che finalmente mi toglie un altro peso a volte insopportabile. C’è un punto fermo ora. Il giudizio da cui non si può prescindere dopo tonnellate di accuse infondate, chiacchiere, strumentalizzazioni, dolore. Ma per quel senso supremo di rispetto delle istituzioni, della Repubblica, non mi sono permesso una parola, un commento sulle istituzioni giudiziarie – istituzioni a cui va confermata e riposta fiducia – e sull’intera vicenda giudiziaria che con l’avvocato professor Nicola Mazzacuva abbiamo affrontato nelle sedi proprie del Tribunale.

Ma c’è anche, è inutile nasconderlo, la vicenda istituzionale e dell’attività del Comune. Ringrazio la Giunta e le forze di coalizione che hanno consentito di portare avanti, anche nella dialettica con quelle di opposizione, con tenacia se possibile ancor maggiore, la direzione di cambiamento della città e le risposte a questa. Riuscendoci o meno, alle volte.

Poi ancora c’è la vicenda del dolore, vissuto in silenzio. Non ho pudore a dire che senza la stima e l’affetto della città – che in fondo sa di te e non dubita, se non delle scelte, sicuramente dell’onestà e del ruolo istituzionale svolto – me ne sarei già andato. Lo dico solo ora perché le ferite profonde e il dolore vero sono stati vissuti sentendo questo sentimento. Senza, sarà anche un difetto, quel pelo sullo stomaco necessario per farsi scivolare le cose addosso. Questo dolore è stato affrontato lentamente, un passo alla volta, un grado dietro l’altro, con pochi cari, tentando di dipanare i veri fatti. Oggi tiro un sospiro di sollievo. Ringrazio il mio avvocato prof. Nicola Mazzacuva, i suoi collaboratori e chi mi è stato vicino durante questo percorso.

Se da una parte ritrovo (almeno in parte) la serenità, dall’altra manca qualcosa. Comprendo la decisione del Tribunale che nell’ottica dell’economia processuale ha fatto questa scelta. Credo che dopo 14 e 9 anni dai fatti contestati, pur nella complessità della vicenda e dei diversi ruoli, le evidenze documentali, processuali, i teste consentissero anche un loro più profondo chiarimento di merito.

Anche perché di una vicenda che addirittura nasce nel 1999, di un fatto contestato che risale al 2006 (fui assessore in Provincia fino al 2007 e poi non ebbi alcun incarico fino al 2011) e di quelli risalenti a nove anni fa ai primi giorni di insediamento come sindaco, rimangono questi quasi dieci anni a Palazzo Garampi passati con questa spada di Damocle sulla testa.

E’ vero che con il passare dei giorni, delle settimane, dei mesi, ho provato a metabolizzare e razionalizzare quello che ormai nell’opinione pubblica è un concetto diffuso: che per gli amministratori, per chi ha un incarico pubblico questi incidenti anche importanti sono ‘normali’. Sono un passaggio quasi fisiologico per chi si addentra nei meandri misteriosi della macchina burocratica. Ma razionalizzare e metabolizzare non è così scontato.

E’ vero che ti aiuta il detto di casa tua, se questa è sana, “male non fare, paura non avere”. Ma non si può dimenticare mai il peso e il senso di impotenza davanti alla narrazione spesso incredibile dei fatti e delle accuse. Una narrazione, un processo politico, inevitabile e spesso strumentale, mediatico, sui social, che ha prodotto e produce effetti pesanti per le singole persone e anche la collettività. Un processo e una narrazione a cui si è stati fortemente esposti e che oggi i giudici non hanno giudicato veritieri.

Ricordo il giorno e l’alba dello squillo del campanello del sequestro dei beni e della notifica di numerosi reati. Ricordo soprattutto, pubblicamente, e non per pietire, come mio padre se ne sia andato avendo nel cuore e negli occhi il dolore per la più infamante delle accuse, associazione per delinquere, per il proprio figlio, ‘criminale’ insieme a un altro sindaco, due presidenti di provincia, il presidente della Fiera e della Camera di Commercio, insieme alle rappresentanze di diverse categorie economiche della città e con i beni di tutta la famiglia sotto sequestro (ma i mutui però da continuare a pagare). È pur vero che il procedimento sui due fatti processuali oggi trova sentenza liberatoria e dissequestro dei beni come richiesto dal Pm, e a cui si aggiungono le otto ulteriori imputazioni che erano già state oggetto di una sentenza pienamente assolutoria che era stata pronunciata dal Gup del Tribunale di Rimini nel 2017.

Ma nove anni di ‘detenzione invisibile’, di vita personale con orizzonti bui, mi si permetta di dirlo almeno per la prima volta, sono già stati scontati. Anni lunghi in cui però le ansie, i pensieri negativi, l’incapacità materiale di far valere le proprie ragioni, non hanno sottratto, e questo grazie al sostegno di tanti anche in Comune, un minuto solo al lavoro per la città. Lavoro per la città che è stato e resta la mia ragione totale dell’assunzione della responsabilità pubblica da sindaco.

Dico ciò proprio oggi che, con i suoi istituti, le sue legittime ragioni anche di economia processuale, la giustizia mi/ci ha liberato almeno di un altro peso. Il professor Mazzacuva mi ha comunicato e io condivido che, nelle prossime settimane, con le motivazioni della sentenza di ieri e nel rispetto del lavoro degli organi giudiziari, si valuterà seppur come detto con sentenza liberatoria e dissequestro di ogni bene richiesta dal Pm e accolta dal giudice, la possibilità di richiedere un ulteriore esame di merito su ogni aspetto.

                                                                                                  Andrea Gnassi

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Pubblicato da
Roberto Di Biase

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