Il presidente di Confcommercio, Gianni Indino, boccia il Dpcm: “Confuso e lontano dalle esigenze del commercio e del turismo. Una pietra tombale sulla stagione estiva, che ci avvicina al tracollo del sistema Paese”
RIMINI – “Il nuovo Dpcm su cui contavamo per la ripartenza si è rivelato confuso, approssimativo, lontano dalle esigenze delle imprese del commercio e della filiera turistica. Una pietra tombale sulla stagione estiva – dice il presidente di Confcommercio della provincia di Rimini, Gianni Indino – che ci toglie anche l’illusione di poter riprendere a lavorare con il turismo. Sono sconcertato e deluso: per le nostre imprese rimane tutto come prima. Il commercio al dettaglio è stato rimandato oltre la metà di maggio, bar e ristoranti a giugno, sull’apertura di alberghi e stabilimenti balneari non c’è nemmeno una data presunta, solamente parole che rimandano ancora.
Di questo passo il tracollo del sistema Paese è vicino, a partire da quello dell’economia. Dall’inizio dell’emergenza non ci siamo mai sottratti dalle nostre responsabilità, stringendo la cinghia e sforzandoci di avere fiducia nelle scelte delle istituzioni, che però continuano a dimostrarsi inadeguate. L’ultimo Dpcm mette all’angolo il mondo delle imprese. Senza piani concreti di sostegno o di rilancio, ci costringe ancora a navigare a vista, senza né rotta né carburante. Ci tengono fermi mentre qualcuno ci mena.
Ma la misura adesso è colma. Fa male vedere le file fuori dai banchi dei pegni: significa che i soldi dallo Stato non arrivano, o quei pochi che arrivano non sono sufficienti a salvare dal disastro economico i piccoli imprenditori e le loro famiglie. Stiamo facendo debiti per pagare tasse e utenze, quello che a parole non sarebbe mai dovuto succedere.
Certo, abbiamo ottenuto che i pubblici esercizi possano vendere cibi da asporto, ma rimane un elemento marginale che serve solamente per ottenere quel poco di liquidità utile a pagare le utenze e sperare di riuscire a far fronte alle imposte che restano lì in attesa di essere saldate tra una manciata di settimane. Perché per quelle sì, la data è già certa. I nostri dipendenti invece stanno ancora aspettando la cassa integrazione, il Decreto Liquidità stenta a decollare e il Decreto Aprile sbandierato da settimane rischia ormai di dover cambiare nome, visto che alla fine del mese mancano solo tre giorni.
Evidentemente non è chiaro che si sta condannando il settore della ristorazione e dell’intrattenimento alla chiusura. Moriranno oltre 50.000 imprese e 350.000 persone perderanno il loro posto di lavoro. Bar, ristoranti, pizzerie, catering, intrattenimento, per il quale non esiste neanche una data ipotizzata e stabilimenti balneari sono allo stremo e non saranno in grado di non lavorare per più di un mese ancora. L’unica decisione plausibile per molti sarà non riaprire.
Non comprendiamo poi l’inaspettata e inspiegabile decisione di rinviare ulteriormente l’apertura dei negozi al 18 maggio, visto che l’Inail ha classificato il settore a basso rischio e che è già operativo il protocollo del 24 aprile per la riapertura in sicurezza. Se vengono a meno i negozi di vicinato, non solo saltano tutte le filiere del tessile, del calzaturiero e della pelletteria italiane, ma salta anche la tenuta sociale e la sicurezza delle nostre città. E purtroppo non siamo molto lontani da questa realtà, perché i magazzini sono stracolmi di collezioni primaverili che non si riusciranno più a vendere, ma che sono state già pagate o lo dovranno essere a breve.
Confcommercio ha chiesto questa mattina (lunedì 27 aprile) al presidente Conte un incontro urgente, anzi urgentissimo, per discutere di due punti: riaprire prima e in sicurezza; mettere in campo indennizzi e contributi a fondo perduto a favore delle imprese. Continueremo a batterci su ogni tavolo per ottenere misure che servano realmente alle nostre imprese. Lo abbiamo fatto finora e proseguiremo con ancora maggiore forza: non ci diamo per vinti.
Dobbiamo assolutamente anticipare queste date e ci adopereremo per farlo: ne va della sopravvivenza del nostro tessuto economico e sociale. Le piccole imprese sono la spina dorsale del sistema Paese. Se chiudono, l’Italia si ritroverà definitivamente in ginocchio senza possibilità di rialzarsi. Facciamo appello al presidente della Regione, Stefano Bonaccini, al presidente della Provincia di Rimini, ai sindaci, ai parlamentari locali, ai consiglieri regionali affinché si facciano concretamente portavoce delle istanze delle imprese che sono al limite della sopravvivenza”.