Nota del Sindacato Nazionale Infermieri Nursing Up dell’8 maggio 2023

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De Palma: «Operatori sanitari stanchi, avviliti, stressati ma soprattutto infelici e insoddisfatti. Il nostro sindacato, già nel 2019, denunciava, con le sue indagini, l’allarme Sindrome di Burnout»

ROMA  – «Sono stressati, depressi, soprattutto avviliti dalla palese mancanza di prospettive, soprattutto si sentono vittime sacrificali, loro malgrado, di un sistema sanitario di cui hanno dimostrato, con i fatti, di essere la colonna portante. 

Gli infermieri italiani e gli altri professionisti del comparto pagano a caro prezzo la desolante realtà della sanità italiana di cui fanno parte, una sanità che non è più, da tempo, “costruita a misura degli operatori sanitari”.

Molti di loro si sentono ancora orgogliosi di indossare quella divisa, sono fieri del percorso che hanno scelto, tuttavia non reggono più il grave peso che portano sulle spalle, in un profondo disequilibrio “dare-avere” che accresce la propria insoddisfazione.

Non c’è nessun catastrofismo dietro queste affermazioni e dietro le nostre denunce: lo confermano, ancora una volta, i contenuti di altri autorevoli report.

Gli operatori sanitari sono in perenne “debito di ossigeno”, per orari di lavoro che vanno ben oltre il lecito, per carichi di lavoro impossibili da gestire. Il tutto è aggravato da una sempre più preoccupante mancanza di riconoscimento di quanto con, competenza professionale, fanno ogni giorno sul campo. 

Si pensi solo alla sproporzione tra personale sanitario presente in servizio e pazienti da assistere: uno squilibrio a causa del quale è quasi impossibile instaurare un rapporto empatico con i malati, senza dimenticare che “il filo spinato” della burocrazia rende tutto ancora più difficile. 

Siamo di fronte al desolante quadro della “Sindrome da burnout”, quella pericolosa malattia subdola e nascosta che il nostro sindacato, con le sue campagne, denuncia da tempo, quell’insieme di sintomi determinati da uno stato di stress permanente con il quale, oggi,  dichiarano di convivere, durante il proprio lavoro, il 45% degli infermieri che prestano la loro opera nei reparti ospedalieri, in particolare negli affollati e spesso ingestibili pronto soccorsi. 

Sia palesa naturalmente una grave minaccia per la loro salute ma anche per quella degli assistiti, sia chiaro, visto che lavorare quando si è in burnout significa alzare di molto il rischio  di commettere un errore sanitario:  in Italia si parla di circa 100mila casi l’anno.

Gli infermieri molto spesso sono depressi, demotivati e colpiti appunto dalla sindrome di burnout. Chi tra di loro subisce una violenza fisica tende a non denunciarla, mentre chi ne subisce una verbale tende a non rispondere all’aggressore. Lo diceva apertamente, per il nostro sindacato , la psicologa Rosalba Taddeini, referente dell’Oms per l’indagine ‘Workplace violence in the heath sector – Survey Questionnaire dell’Onu‘, proprio in occasione del ‘Primo Symposium Nursing Up‘. Era l’ottobre del 2019. 

Nursing Up urlava a gran voce, ben quattro anni fa, che gli ospedali stavano diventando “terreno fertile” per malesseri che non potevano, e che non possono essere sottovalutati. Patologie che oggi si sono di fatto aggravate.

A rinnovare, oggi, l’evidenza già denunciata dal Nursing Up nel 2019, di professionisti più che mai “sull’orlo di una crisi di nervi”, è l’indagine che viene condotta da Fadoi, la Federazione dei medici internisti ospedalieri, su un campione rappresentativo di oltre duemila professionisti sanitari e presentata a Milano al 28° Congresso Nazionale della Federazione.

Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up.

«Un drammatico paradosso esiste da tempo e rischia pericolosamente di trascinare gli infermieri e gli altri professionisti della sanità in un vortice senza fine. Essere consapevoli, da un lato, di essere titolari, alla luce delle proprie competenze, alla luce della propria crescente autonomia, di un alveo di importanti responsabilità, ma di fatto, dall’altro, non essere messi in grado, incredibilmente, di realizzare le proprie potenzialità professionali.

Ci si sente come quando si cammina alla cieca in un tunnel buio, senza punti di riferimento: gli spiragli di luce, effimeri, non conducono mai alla svolta, alla via di uscita, si rimane ingabbiati in un sistema “malato da troppo  tempo ormai”, caratterizzato da scelte troppo spesso incomprensibili da parte delle istituzioni, che finiscono con l’aggravare le carenze strutturali e ad aumentare quel fardello, che alla fine diventa insostenibile. 

Gli infermieri e gli altri professionisti del comparto, le eccellenze di cui l’Italia dispone, e che altri Paesi europei, che corrono veloce verso la crescita della propria sanità, fanno giustamente a gara per “accaparrarsi”, aspirano, legittimamente, ad una valorizzazione economico-contrattuale senza la quale, non si potrà gestire, in modo consono, il crescente fabbisogno della popolazione in termini di tutela della salute.

Il colpo in pieno viso, come un boomerang, non manca affatto, anzi è già arrivato, ed è figlio legittimo di una situazione insostenibile che qualcuno forse, ha voluto ignorare. 

Una situazione che è esplosa, dal momento che gli operatori sanitari pagano più che mai a caro prezzo, fisicamente e psicologicamente, i turni massacranti, la disorganizzazione, la carenza di personale .

Senza dimenticare che le aggressioni subite, le minacce, gli abusi sessuali, nell’ambito di quei dati schiaccianti e lapidari che vi raccontiamo con triste periodicità, in uno scenario inimmaginabile per un luogo di cura della salute, minano nel profondo la serenità di uomini e donne, prima ancora che di professionisti.

Tutto questo equivale, come detto, a cocente insoddisfazione, desiderio legittimo di fuggire verso scenari più gratificanti, ma soprattutto nel “pensiero fisso”, che rischia di sfociare in concreta realtà, di dimissioni volontarie da un pianeta, quello della sanità italiana, che come detto non è più a misura di infermieri. 

Ed eccoli i dati allarmanti della sindrome di burnout, quella che il nostro sindacato denuncia da tempo: un terremoto che ti lacera dentro, ti sfianca anima e mente, e che alla fine diventa un colpo di mannaia per la già precaria qualità delle cure in Italia. 

Chi combatterà al fianco dei malati e dei soggetti fragili? E’ questo ciò che dovrebbero chiedersi Governo e Regioni. 

Le conseguenze, purtroppo, sono sotto gli occhi di tutti, ma vanno ripetutamente e doverosamente denunciate alla collettività.

Centinaia di infermieri, negli ultimi mesi, nel nostro Paese, hanno deciso di abbandonare la professione con dimissioni irrevocabili. I numeri parlano chiaro e sono confortati da numerosi  studi, che confermano addirittura come a livello europeo il trend negativo è destinato pericolosamente a peggiorare. Il 34,4% dei professionisti prevede addirittura di lasciare il posto di lavoro dopo  un solo anno dall’assunzione e il 43,8%, nella migliore delle ipotesi, invia una richiesta di trasferimento, chiedendo di lavorare in reparti dove lo stress traumatico possa avere un impatto meno invasivo sulla propria vita personale.

Chi fermerà tutto questo? Chi porrà la parola fine a questa parabola discendente? E’ lecito chiederselo», conclude De Palma.