Colpa solo della virulenza della nuova variante? Proviamo a riflettere concretamente sulle reali condizioni di sicurezza che i datori di lavoro dovrebbero garantire, più che mai in questo delicato frangente, ai nostri infermieri, ingabbiati tra turni massacranti anche di 12 ore, laddove le condizioni fisiche, lo stress e la stanchezza impattano senza alcun dubbio sulle difese immunitarie dei nostri professionisti della salute, esponendoli come “marionette inermi” al rischio contagio.
Per non parlare poi del fallace sistema degli screening, legati sia ai tamponi che alle misurazioni anticorpali, queste ultime sporadiche, talvolta quasi inesistenti. Il quadro che emerge dalla nuova inchiesta targata Nursing Up, attraverso nostri referenti regionali, è davvero desolante, perché si registra di fondo la mancanza di un piano sinergico di coordinamento da parte del Ministero della Salute e tutto è affidato ancora una volta alla molto discutibile discrezionalità delle aziende sanitarie!».
Così esordisce un preoccupato e indignato Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up.
«Nelle ultime 72 ore, attraverso i dati inconfutabili dell’Istituto Superiore Sanità, registriamo un aumento di oltre 6mila operatori sanitari infettati, ovvero oltre 5mila infermieri in soli tre giorni. Abbiamo il dovere, come sindacato rappresentativo che opera nell’ambito delle professioni sanitarie, di scavare a fondo per comprendere le ragioni di questa “tempesta perfetta” che sta travolgendo, con la sua onda anomala, i nostri infermieri.
Abbiamo dato corso a nuove indagini interne, Regione per Regione, per comprendere cosa accade all’interno dei nostri ospedali. I primi responsi, attraverso le testimonianze dirette dei nostri colleghi, dei soldati in prima linea impegnati nella nuova battaglia contro la quarta ondata, è a dir poco preoccupante.
Tamponi molecolari effettuati addirittura con una cadenza mensile nella maggior parte delle strutture e spesso solo nel caso di sintomi conclamati o di precedenti tamponi antigenici positivi.
La triste routine sarebbe infatti quella dei tamponi rapidi, ad una distanza, nella migliore delle ipotesi, di 8-10 giorni gli uni dagli altri. Una forbice di tempo lunghissima se si immagina che, nel caso in cui l’infermiere risultasse positivo ad uno di questi test, effettuerebbe subito un molecolare, ma in molte strutture continuerebbe a lavorare per almeno altre 48 ore in attesa del risultato di quest’ultimo, rischiando di infettare colleghi, pazienti e familiari.
Queste sono le ipotesi meno nefaste.
Avete compreso bene e nemmeno noi crediamo alle nostre orecchie: in un gran numero di ospedali italiani, gli infermieri positivi ad un tampone rapido, continuano a lavorare per almeno 48 ore, ovvero fino all’esito dell’ulteriore verifica del molecolare che viene effettuato successivamente all’antigenico.
Registriamo preoccupanti situazioni come quelle del Piemonte e del Trentino, dove i tamponi vengono effettuati senza una precisa cadenza di tempo, talvolta solo se sono gli infermieri a chiederli, oppure se esistono sintomi che richiamano ad una possibile infezione.
Senza dimenticare che il tampone rapido, è scientificamente dimostrato, rispetto ad Omicron ha alte possibilità di fornire risultati erronei.
E cosa accade, allora, se un un infermiere sottoposto a tre somministrazioni dovesse risultare inconsapevolmente contagiato ma asintomatico, negativo, per errore, al tampone rapido (e quindi non sottoposto a quello di conferma molecolare), continuasse a lavorare per giorni e giorni?
Non dimentichiamo le condizioni in cui in questo momento versano i nostri operatori sanitari.
Non dimentichiamo che ci sono colleghi costretti ad alternarsi tra due reparti diversi, alle prese con lo stress fisico e psicologico di ore e ore di lavoro. Peraltro non bisogna che passi in sordina l’evidenza di quei tanti infermieri, uomini e donne, che potrebbero già essere alle prese con patologie pregresse che di partenza ne minano le difese rispetto a un nemico violento e implacabile.
Ecco il quadro che emerge dalla nostra inchiesta.
TRENTINO ALTO ADIGE: I nostri referenti denunciano la totale assenza di continuità nei tamponi. Le aziende sanitarie non effettuano screening con nessuna cadenza periodica precisa, nonostante nelle aree covid gli infermieri vivano ogni giorno il contatto diretto con pazienti infetti.
Piemonte
ASL TORINO 5: i tamponi non vengono effettuati regolarmente.
AOU NOVARA: tra le situazioni più preoccupanti: tampone rapido antigenico di sorveglianza addirittura solo ogni 30 giorni, molecolare meno che mai, solo se viene fatta segnalazione di contatto stretto con un contagiato. Una volta che l’operatore risulta negativo, continua a lavorare senza altri controlli successivi ravvicinati.
ASL TORINO 3: Sorveglianza attiva unicamente affidata a tamponi rapidi, con tutti i rischi che ne conseguono.
ASL TORINO 4: il problema principale sembra essere strutturale, con la questione di percorsi non idonei. Un solo corridoio dove passano infetti e non infetti. Persone potenzialmente infette stazionano con persone sane ogni giorno in numerose strutture ospedaliere.
LAZIO: Tra turni massacranti anche di 12 ore, gli ospedali romani come Sant’Eugenio e Tor Vergata vivono situazioni difficilissime. Anche qui la regola base è il tampone rapido, i molecolari compaiono solo in caso di sintomi conclamati o di tamponi antigenici positivi.
La conclusione di Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up, è emblematica.
«Gli infermieri vogliono al più presto chiarimenti su quella che si presenta come una situazione paradossale e pericolosa. Certo è che al nostro sindacato arrivano sempre più sollecitazioni ad intervenire sulle aziende sanitarie. Molti ci chiedono se questi enti ed ospedali, con il “superficiale andazzo” dei tamponi rapidi, non si siano adagiati, tenendo un occhio socchiuso nella gestione di situazioni a prova di bomba.
Per come la vediamo noi, “il gioco del vedi e non vedi” non può funzionare. Non in questo momento, con in ballo la salute degli infermieri e dei cittadini. Non vogliamo certo accogliere i timori di alcuni colleghi, nemmeno per mera ipotesi, secondo i quali i tamponi rapidi potrebbero addirittura far comodo agli enti interessati, dal momento che permettono in ogni caso, positivi o negativi che risultino gli operatori sanitari coinvolti, di garantire la continuità dei turni almeno fino al risultato del successivo test molecolare, che però non arriva prima di ulteriori 48-72 ore», chiosa De Palma.
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