Lo ripetiamo da mesi a gran voce, anche oggi, raccontando all’opinione pubblica la triste e drammatica realtà degli infermieri italiani.
Non passa giorno in cui, da Nord a Sud, un operatore sanitario di casa nostra non subisca un’aggressione fisica o non sia vittima di un abuso psicologico. Gli ospedali, che rappresentano il luogo sacro destinato “alle battaglie” per salvare vite umane, mai come in questo momento, in piena quarta ondata dovrebbe essere così, si trasformano invece in un vero e proprio ring.
Gli infermieri diventano, di conseguenza, i malcapitati protagonisti, o forse sarebbe meglio dire le vittime, di “duelli rusticani”, di incontri di pugilato. Avversari sempre diversi che ti colpiscono quando meno te lo aspetti. Pazienti o parenti di questi ultimi “soggiogati” da una rabbia inspiegabile e incontrollabile, laddove l’infermiere diventa sempre il capro espiatorio che deve scontare tutte le colpe.
Un ultimo vergognoso caso si è consumato qualche giorno fa nell’ospedale di Lecco.
Un settantenne non vaccinato, ricoverato in condizioni critiche con una polmonite causata dal covid, ha più volte provato a togliersi casco respiratore e sondino, arrivando ad accusare medici e infermieri di volerlo uccidere. A fronte dell’ennesimo tentativo di liberarsi dalle macchine che lo tenevano in vita, il paziente ha preso a pugni un’infermiera rompendogli la maschera rigida protettiva e ha preso a calci l’operatore sanitario che era intervenuto in suo soccorso, fratturandogli un dito.
Signori miei, non c’è da meravigliarsi, tutto questo è all’ordine del giorno negli ospedali italiani!
Violenza fisica, ma anche minacce, insulti, comportamenti tesi a umiliare o mortificare. Nella vita lavorativa di molti infermieri c’era, e c’è, tutto questo. Il nostro report del 2019 mise in evidenza come 1 infermiere su 10 (11%), nel corso dell’anno dell’indagine, fu palesemente vittima, su sua ammissione, di violenza fisica sul lavoro, e addirittura il 4% riferiva di essere stato minacciato con un’arma da fuoco. Uno su due affermava invece di aver subito un’aggressione verbale. Questi erano i principali dati della nostra inchiesta, alla quale hanno avevano migliaia di infermieri. Tutto questo oggi viene asseverato da ulteriori autorevoli ricerche a livello mondiale.
Oggi tutto questo nostro lavoro viene corroborato dai contenuti di riviste scientifiche infermieristiche internazionali che sono tra le prime a documentare, attraverso la pubblicazione di paper, la violenza contro gli operatori sanitari.
Un’analisi bibliometrica, condotta a livello globale, ha evidenziato che questo fenomeno è in crescita e sotto la luce dei riflettori di molti ricercatori.
Questa ricerca, condotta sul database Scopus, prende in considerazione il periodo di pubblicazione dal 1992, data in cui per la prima volta compaiono articoli scientifici su questo tema, al 2019. Le professioni maggiormente colpite risultano essere quella infermieristica e medica.
La maggior parte delle pubblicazioni nasce nel contesto americano, a seguire in quello australiano e inglese.
Le parole chiave più utilizzate che racchiudono la ricerca su questo topic, sono “workplace violence”, “aggression”, “health care personnel”, “emergency service”, poiché la gran parte degli episodi si verifica in contesti di emergenza/urgenza, e “bullying” a ricordare che la violenza non è solo quella fisica. Gli infermieri e medici sono la categoria più esposta a questi episodi, proprio per la loro stretta vicinanza al paziente e la crescente ricerca infermieristica in merito ne è una diretta testimonianza.
La letteratura documenta che più di un terzo degli operatori sanitari è vittima di aggressioni verbali, fisiche, mobbing e molestie.
Una recente revisione sistematica riporta una percentuale ancora più alta, arrivando a toccare il 60% della comunità professionale.
I documenti appena citati testimoniano l’atroce verità che qualcuno almeno in Italia ben conosce, ma di fronte alla quale volta inspiegabilmente le spalle da troppo tempo.
A cosa porta tutto questo? Dove stiamo andando di questo passo?
Almeno in Italia la risposta all’inquietante quesito è nelle oltre duemila dimissioni volontarie di infermieri nel corso del primo semestre del 2021.
Le aggressioni, le botte, le violenze fisiche, diventano la causa di una netta riduzione della soddisfazione lavorativa da parte dell’infermiere e del conseguente aumento dell’insorgenza di burnout, sintomi depressivi e del desiderio di lasciare la professione. Tutti questi aspetti non solo colpiscono il professionista sanitario, ma anche la qualità delle cure, che risente di una palese insoddisfazione con cui l’operatore sanitario, suo malgrado, convive.
Da mesi e mesi, continua De Palma, chiediamo il ripristino dei presidi di pubblica sicurezza all’interno degli ospedali.
In carenza dei presidi di Polizia interni – spiega il presidente del Nursing Up – abbiamo proposto anche la creazione di strutture di pronto intervento per la sicurezza all’interno degli ospedali, con uomini qualificati ad agire prontamente in caso di emergenza, perché resta quasi inutile, e talvolta addirittura dannoso, allertare le forze dell’ordine dall’esterno quando tutto si è già consumato.
Tutto questo mentre una recente legge presentata “in pompa magna”, ma dimostratasi, nei fatti, a scarsissimo impatto, non ha fatto altro che gettare fumo negli occhi.
A cosa può servire inasprire la portata delle condanne, senza individuare strumenti idonei a prevenire e contrastare il fenomeno sul nascere?», conclude De Palma.
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