Un riconoscimento doveroso “alle infermiere e agli infermieri che nel periodo della pandemia, in una situazione di estremo pericolo, hanno dimostrato altissima professionalità nelle corsie, nei Pronto soccorsi e nelle terapie intensive, impegnandosi con competenza, dedizione, sacrificio, e spesso con indosso i segni della eccezionale fatica, all’assistenza dei pazienti nel momento di maggior bisogno”.
Tutti, abbiamo davanti agli occhi, vivi come non mai, dentro di noi, i ricordi e i momenti affrontati durante l’emergenza sanitaria. Nessuno, al pari degli infermieri, la categoria professionale in assoluto che ha subito maggiormente l’impatto con “l’onda anomala” del contagio, può testimoniare in modo così diretto l’ansia, la paura, le incertezze, l’impegno spasmodico che hanno contraddistinto i giorni più duri della battaglia.
Ed è per questo che non saremo certo noi quelli che negheranno il valore di una medaglia che agli occhi della collettività, possa contribuire, nel suo piccolo, a testimoniare, ancora una volta, che le nostre competenze e le nostre qualità umane hanno fatto la differenza nel momenti più difficili.
Tutto questo però non basta, non può essere sufficiente!
Occorre recidere definitivamente quel filo spinato della mala cultura che drammaticamente trasforma gli infermieri, ogni giorno, nel capro espiatorio dei disagi dei cittadini, sfociando in continue aggressioni e minacce verbali: e non saranno certo una medaglia o una pacca sulla spalla, a condurci verso l’atteso cambiamento radicale, quello che non può prescindere dalla ricostruzione di un sistema sanitario che ha bisogno come il pane della valorizzazione economica e contrattuale dei nostri infermieri».
Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up.
«I dati parlano chiaro, e report autorevoli confortano le nostre denunce. La sanità italiana viaggia con il freno a mano tirato, e gli infermieri e gli altri professionisti del comparto portano sulle spalle il macigno di un sistema troppo fragile, disorganizzato, che soffre maledettamente di “patologie” che si aggravano giorno per giorno , come la carenza di personale, al primo posto tra le piaghe da sanare nel minor tempo possibile prima di diventare incurabili.
Ed è per questo che ci rivolgiamo alla politica per evidenziare, senza mezzi termini che, oltre alle medaglie occorrono prima di tutto piani risolutivi e azioni concrete!
E la nostra non vuole essere una polemica fine a stessa, ma l’ennesima costruttiva richiesta di aiuto da parte di chi vive ogni giorno la complessa realtà infermieristica, e che non smetterà di combattere al fianco degli operatori sanitari per un cambiamento che urge, prima di tutto, per gli interessi dei cittadini e per la qualità delle prestazioni offerte.
Non possiamo non ricordare che il sistema sanitario italiano paga lo scotto di anni di pericolosa austerity, di immobilismo, a cui hanno fatto seguito non certo investimenti graduali e costanti, ma le classiche toppe per coprire le enormi voragini che sono emerse quando, in piena pandemia, non eravamo in grado, presi alla sprovvista, di affrontare il nemico.
Carenza di posti letto e deficit strutturale – Tra il 2007 e il 2017 il nostro Servizio sanitario nazionale ha subito una drastica dieta: in 10 anni sono stati chiusi circa 200 ospedali, tagliati 45 mila posti letto, ridotto di 10 mila unità il personale medico (tra ospedalieri e convenzionati) e di 11 mila quello infermieristico. È migliorata l’appropriatezza delle cure e ci sono nuove tecnologie, per cui si ricovera di meno. E sono anche cresciute (poco) le strutture territoriali ma è purtroppo sotto gli occhi di tutti che gli investimenti in sanità negli ultimi 10 anni sono stati inadeguati (nonostante il fondo sanitario tra il 2007 e il 2017 sia cresciuto di 15 miliardi).
Partiamo dagli ospedali: secondo i dati dell’Annuario del Ssn del Ministero della Salute nel 2007 il Ssn poteva contare su 1.197 strutture ospedaliere mentre nel 2017 sono scese a 1.000, quasi 200 ospedali in meno, il 16%. Nel 2007 c’erano poi 9.820 strutture per l’assistenza specialistica ambulatoriale. Un numero che nel 2017 è sceso a 8.867, ovvero 953 ambulatori in meno (il 10%).
Dimissioni volontarie del personale sanitario, una emorragia difficile da arginare – Via dal servizio sanitario pubblico. Nel 2021 gli ospedali italiani hanno perso per dimissioni volontarie circa 2mila tra infermieri che hanno detto addio alle strutture sanitarie pubbliche. La pandemia da Covid ha solo fatto da innesco al fenomeno delle ‘grandi dimissioni’ in sanità, peggiorando le condizioni di lavoro all’interno degli ospedali, già difficili a causa del turn over alterato e degli organici assottigliati da anni di blocco della spesa sul personale.
L’Italia non investe abbastanza, rispetto al resto d’Europa, in un mercato del lavoro che ha bisogno di nuove leve. Occorrono sempre più nuovi laureati nelle professioni sanitarie e una formazione costante da parte di chi già lavora sul campo e ha bisogno di corroborare costantemente le proprie competenze per adeguarsi e affrontare le nuove sfide di una popolazione che viaggia verso l’invecchiamento. Invecchiano i cittadini, che saranno i malati cronici del domani di cui prendersi cura, invecchia inesorabilmente anche il personale infermieristico, con una età media di 57 anni, e privo di un indispensabile ricambio generazionale.
Tutto questo abbiamo il dovere di raccontarlo, di urlarlo addirittura, a chi fa finta di non sentire. E allora diciamo grazie alle medaglie ma aspettiamo, finalmente, che la politica si accorga che è il momento di voltare pagina», chiosa De Palma.
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