De Palma: «Oltre 5mila infermieri attivi “in meno” nel 2020, il momento più difficile. Una realtà anche peggiore di quella ipotizzata dalle menti più fervide. Il personale sanitario è addirittura diminuito nel momento in cui le nostre forze dovevano triplicare per fronteggiare un nemico tanto agguerrito»
ROMA – «Stiamo parlando dei nuovi dati ISTAT, quelli relativi all’indagine sulla Forza Lavoro del 2020 e che ci lasciano a dir poco interdetti. Cifre che in queste ore stiamo opportunamente corroborando, con una indagine sindacale accurata, per capire fin dove arrivano le responsabilità di Governo e Regioni rispetto a mesi di emergenza sanitaria che hanno messo a dura prova le già precarie forze del comparto sanitario.
L’ISTAT porta alla luce che, nel periodo più difficile, in quei mesi dove il Covid ci offriva il desolante scenario di mille decessi al giorno e oltre 300 nostri infermieri che si ammalavano di Covid nelle corsie, la cosiddetta forza lavoro attiva andava calando di oltre 5mila unità. Per la precisione 5623 infermieri attivi in meno in Italia tra la prima e la seconda metà della pandemia. Cosa è successo davvero? Quali sono le motivazioni che si nascondono dietro questi dati, che non possono essere certo commentati alla leggera e non devono passare sotto traccia, come qualcuno forse ha provato a fare?
Prima di tutto ci chiediamo perché queste informazioni, divulgate da una testata specializzata di economia, non erano contenute nel report ISTAT Forza Lavoro 2020 ma vengono fuori solo adesso.
Poi proviamo a capire, razionalmente, cosa potrebbe essere successo.
Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up.
«Come noto, quando l’ISTAT parla di forza lavoro attiva, menziona quelle categorie sia di liberi professionisti che di dipendenti, nel caso degli infermieri, che hanno svolto, nell’arco del periodo dell’indagine, un minimo di funzioni regolarmente retribuite.
I dati parlano chiaro, peraltro ISTAT e FNOPI, nelle cifre, sono sulla stessa lunghezza d’onda, e questo certo non ci conforta, ma almeno ci consente di capire da dove partire.
384mila sono le unità di infermieri considerati attivi, oggi, rispetto a circa 445mila iscritti all’ordine e ai circa 270mila dipendenti del SSN.
Per infermieri attivi quindi lo ribadiamo si intende sia la libera professione che i professionisti dipendenti.
Ma attenzione, il Governo non aveva forse esaltato, con i canonici squilli di tromba, le nuove assunzioni attivate durante l’emergenza?
Assunzioni uguale retribuzioni, uguale quindi nuovi infermieri attivi. Come è possibile perciò che a fronte di 16.570 nuovi infermieri a contratto, inseriti nel nostro SSN a partire dallo scorso autunno, abbiamo fatto registrare un sensibile calo di personale sanitario?
Le ragioni potrebbero essere molteplici, eppure non pochi osservatori mettono in discussione i numeri reali dei tanto decantati nuovi infermieri a contratto. E’ sotto gli occhi di tutti che gli infermieri italiani hanno affrontato il “mostro” con carenze strutturali già pesantissime. Siamo partiti da oltre 60mila infermieri mancanti all’appello negli ospedali e che, quando abbiamo toccato l’acme dell’emergenza, siamo arrivati, lo confermano le nostre indagini, anche a 85mila unità in meno.
Tutto questo non basta a giustificare il dato negativo di infermieri attivi, dal momento che le assunzioni, quelle stesse che noi abbiamo denunciato come troppo poche, avrebbero dovuto coprire la falla, e invece hanno solo tappato un pentolone decisamente sotto pressione e pronto a esplodere da un momento all’altro, mentre i dati ISTAT comunicati solo da poco, e pure qui vorremmo capire perché, hanno scoperchiato definitivamente quel pericoloso pentolone. Insomma, chi credeva alla favola che gli interventi di Governo e Regioni, nel pieno dell’emergenza, fossero stati risolutivi, deve purtroppo ricredersi.
Alla fine tutto comincia ad assumere un senso: pochi infermieri costretti a combattere al fronte, scarse possibilità di ricambi, turni massacranti, presidi di sicurezza deficitari, ospedali vetusti, disorganizzazione.
Non è affatto retorica: un infermiere che per carenze strutturali così pesanti, rispetto a un virus tanto aggressivo, si ammala sul campo e non può, in determinati casi, tornare sul posto di lavoro, va degnamente sostituto per tempo.
E il bello è che non è bastato neanche il dramma della prima ondata per arrivare a capirlo!
Quindi, chi era consapevole che le lacune erano già così forti, ben prima del Covid, ed ha assistito al dramma della prima ondata, aveva il dovere di attuare un piano di rafforzamento adeguato alle condizioni strutturali e al più che ipotizzabile ritorno del virus, senza cullarsi sugli allori, senza mettere ancor più a rischio la salute di infermieri e cittadini.
Ci chiediamo cosa abbia fatto la FNOPI, responsabile di rappresentarci nelle sedi che politicamente contano, mentre noi scioperavamo e scendevamo in piazza in tutta Italia per fronteggiare il pressappochismo della politica regionale e centrale tra la prima e seconda ondata. Purtroppo ciò che la nostra memoria ci consegna è che la nostra Federazione si preoccupava di redarguire quegli Ordini Provinciali che volevano sostenere le lotte che gli infermieri stavano conducendo, per difendersi contro una politica che avrebbe dovuto assumere responsabilità e decisioni importanti per dar loro sostegno nel fronteggiare il virus.
Insomma, proprio quando servivano maggiori certezze, e potenza di fuoco per fronteggiare il nemico, è stato lasciato il personale sanitario disarmato e poi, subito dopo l’estate, come previsto, il virus ha fatto il suo tragico ritorno. E’ appena il caso di ricordare la Regione Lombardia, che per coprire le necessità del personale delle nascenti terapie intensive come quelle della Fiera, ad esempio, andava a reperire personale dagli ospedali del centro città, che a loro volta per sopperire alle mancanze attingevano dai nosocomi dell’hinterland, con la conseguenza della chiusura di reparti su reparti della sanità ordinaria.
Nello stesso tempo le RSA sono state svuotate del tutto, con infermieri sottopagati e con turni stressanti, che preferivano lavorare nelle aree Covid degli ospedali, pur di tornare alle dipendenze del SSN.
Un pericoloso gioco al massacro, un puzzle con i pezzi tutti al posto sbagliato che noi abbiamo denunciato.
E da ultimo i dati dei quali stiamo parlando, emersi dall’oggi al domani, che chiedono maggior tempo per essere commentati con dovizia ed attenzione. Noi non mancheremo di farlo, e come siamo soliti agire nelle nostre indagini, andremo fino in fondo».