ROMA – «Aumenta di ora in ora il numero degli operatori sanitari contagiati presso l’ospedale di Taormina. Secondo quanto ci riferiscono i nostri referenti, il focolaio sarebbe divampato lo scorso 2 maggio nel reparto di cardiologia. Inizialmente gli infermieri, tutti già regolarmente vaccinati, che si sono re-infettati di Covid erano solo 2, rispetto agli 11 casi totali tra pazienti e operatori socio sanitari. Ora, secondo le nostre fonti ufficiose, i casi sono saliti a 20 in poche ore, con gli infermieri contagiati che sarebbero già 5. Mentre attendiamo che la locale Direzione Sanitaria confermi i dati ufficiali, abbiamo realizzato un report sindacale per capire quello che sta accadendo in Italia nelle ultime settimane. Oltre a Taormina, infatti, ci sono due infermieri contagiati al Policlinico di Messina sempre nelle ultime 24 ore. E poi in precedenza abbiamo i 7 infermieri di Abbiategrasso, i 2 di Pesaro e poi i casi precedenti del Moscati di Avellino (in tutto 3 infermieri), di Brescia e di Latina rispettivamente con 2 e 5 colleghi infettati. Apparentemente sembrerebbero cifre irrisorie, ma in realtà ciò che ci preoccupa di più è la scarsa attenzione che le Regioni stanno dando a questi accadimenti. Si tratta come detto di infermieri che hanno ricevuto regolarmente la seconda dose del vaccino tra gennaio e febbraio».
Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up.
«Le motivazioni dei contagi degli infermieri già vaccinati non possono essere semplicemente legate alla già nota non totale efficacia dei farmaci. Tutto questo non è sufficiente. Le Direzioni Sanitarie fanno difficoltà a fornire informazioni ufficiali e questo ci lascia pensare, ancora una volta, che siamo di fronte a quella superficialità che più volte abbiamo già pagato sulla nostra pelle durante questa emergenza sanitaria.
Quanti sono realmente infermieri e gli altri operatori sanitari già vaccinati che si sono re-infettati in Italia solo negli ultimi mesi? Qual’é lo stato dell’arte nelle nostre aziende sanitarie, e che tipo di impatto hanno le ormai celebri varianti sul presentarsi di nuovi casi tra il personale già vaccinato?
E soprattutto, se il futuro sarà caratterizzato, come sembra, dalla presenza di varianti, come si pensa di affrontare, preventivamente, la minore efficacia dei vaccini in contesti tanto sensibili come gli ospedali e le strutture sanitarie italiane, e come si intende evitare che una eventuale variante tra quelle “refrattarie”, possa giungere in tali strutture e re- infettare il personale ivi operante con il rischio di dare nuovo impulso al drammatico ciclo dei contagi verso l’esterno?
Quando arriverà il nostro richiesto protocollo Ministeriale che scandisca ruoli e responsabilità delle aziende sanitarie nella puntuale effettuazione di test per la misurazione dei livelli anticorpali, e che fornisca indicazioni ufficiali sul comportamento da tenere nei casi in cui i livelli riscontrati non fossero in grado di garantire la sicurezza dell’interessato e della collettività? E’ ipotizzabile in casi come quelli citati, la somministrazione di una dose di richiamo indipendentemente dal fatto che siano trascorsi o meno i 6 mesi di copertura?
Le vaccinazioni per gli operatori sanitari sono iniziate a gennaio, quindi tra giugno e luglio saranno decorsi i 6 mesi di validità per coloro che sono stati vaccinati tra i primi. Perché mancano ancora indicazioni ufficiali sulla procedura alla quale dovranno attenersi tali operatori? E più in generale, cosa dovranno fare tutti i sanitari interessati una volta decorso il periodo di validità della copertura? Stiamo parlando di un fenomeno generalizzato che deve trovare indicazioni omogenee ed uniformi, proprio per evitare di doversi rimettere al comportamento delle singole aziende sanitarie.
Insomma, non è una eventuale terza dose che preoccupa gli infermieri, bensì ancora una volta, la mancanza di politiche di programmazione tempestive ed omogenee, come gli screening di misurazione del livello anticorpale sul personale sanitario che noi come sindacato continuiamo a chiedere a gran voce alle aziende sanitarie. Solo così, evidentemente, si potrà agire “preventivamente”, per evitare l’esposizione al rischio contagio di quei colleghi già vaccinati, che operano nei reparti con pazienti fragili, e che potrebbero involontariamente diventare veicolo di contagio essi stessi nel momento in cui si infettano anche se già sottoposti alla seconda dose», chiosa De Palma.
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