ROMA – «Siamo stati il primo sindacato che per anni si è battuto affinché l’istituzione dell’infermiere di famiglia divenisse finalmente realtà. E finalmente, con la legge del 7 luglio 2020, pensavamo di essere arrivati a una svolta epocale. Tengo ancora ben presente quando sono stato convocato in audizione al Senato, lo scorso 23 giugno, per relazionare su quali sarebbero stati i vantaggi concreti per l’intero sistema sanitario, ma soprattutto per tutti i cittadini italiani, in merito una proposta legislativa destinata, lo credevamo tutti, a creare una rivoluzione positiva.
Mi sono sempre battuto, in prima persona, per mettere in evidenza che quella dell’infermiere di famiglia poteva rappresentare una figura nuova e insostituibile. Più volte ho lanciato l’allarme sui rischi di una legge che, una volta approvata, rischiava di avere un effetto boomerang, qualora non avesse trovato coordinamento con una serie di disposizioni attuative necessarie, ad opera della Conferenza delle Regioni o dello stesso Ministero della Salute, che dovevano ottimizzare ed uniformare la figura del “nuovo” infermiere di famiglia, per superare il rischio di trovarsi di fronte a 21 modelli organizzativi regionali che, a parte rare eccezioni, avrebbero finito con l’ingoiare anche l’infermiere di famiglia in una situazione di perenne mediocrità.
Mi sono battuto, con il Sindacato che rappresento, per mettere in evidenza che infermiere di famiglia non può e non deve essere immaginato come un professionista dedicato soltanto all’assistenza domiciliare, per quanto importante sia questa attività. Ma purtroppo e’ accaduto di peggio: ovvero che la legge, una volta approvata, è finita nel dimenticatoio e che, dei 9600 infermieri di famiglia da assumere, 8 ogni 50mila abitanti, abbiamo di fatto visto solo le briciole, circa 1000. Non c’è dubbio, e in questo senso merita un plauso, che l’intervento di ieri della Senatrice Paola Boldrini, Vicepresidente della Commissione Sanità, rappresenti finalmente un lampo di luce in quello che era diventato buio pesto. Confidiamo che tutta questa attenzione sull’infermiere di famiglia non si traduca nell’ennesimo fumo negli occhi e che dalle parole si passi finalmente ai fatti».
Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up, stigmatizza le posizioni del Sindacato traendo spunto dall’intervento della Senatrice Boldrini, e chiede che, più che mai in questo particolare momento storico, alle prese ancora con l’emergenza pandemia in corso, e nel pieno di una missione vaccinazioni non ancora entrata nel vivo, il Ministro della Salute Roberto Speranza, nel previsto piano di rivoluzione della sanità italiana da lui auspicato, dia finalmente impulso all’introduzione dell’infermiere di famiglia, visto che da mesi c’è una legge che supporta tutto questo.
«Lo dicevamo e lo diciamo ancora ora. Serviva e serve, se si vuole davvero ripartire, un insieme di disposizioni di coordinamento tra regioni, o anche una norma quadro nazionale, che non metta nella condizione le 21 regioni di avere 21 infermieri di famiglia diversi l’uno dall’altro, impiegati in modo diverso. L’infermiere di famiglia può rafforzare la sanità territoriale, può snellire finalmente i ricoveri, può collaborare con strutture pubbliche e private, può ad esempio supportare il settore scolastico. Può spaziare dalla formazione, alla consulenza sanitaria e a tutta una serie di attività che sono nell’assistenza primaria. Al pari del medico l’infermiere di famiglia dovrà avere la responsabilità di un proprio ambulatorio dove garantire determinate prestazioni, per l’appunto ambulatoriali, dalle medicazioni alle attività più complesse. E pensate al piano vaccini e alla necessità dell’immunizzazione di massa. Pensate che se questi infermieri fossero stati assunti tempestivamente, come noi continuiamo a chiedere sin da prima che la legge fosse approvata, in questo momento avremmo a disposizione ben 9600 professionisti in grado di vaccinare gli italiani porta a porta, o all’interno delle farmacie, come previsto, o nelle scuole il corpo docente e il resto del personale. Tutto questo non può e non deve restare ancora nell’inutile mondo dei buoni propositi».
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