Per questa ragione, indipendentemente dai dati di coloro, tra il personale sanitario, che hanno deciso di non vaccinarsi, l’invito, l’appello, da parte del nostro sindacato, è ancora una volta quello di evitare di incamminarsi lungo un pericoloso percorso di caccia alle streghe, perché finirebbe solo con il condurci verso un vicolo cieco.
Accogliamo positivamente le dichiarazioni del Viceministro Sileri, noi in tal senso già ci eravamo ampiamente espressi in precedenza, invitando le Regioni a non estremizzare gli aspetti di una legge, quella dell’obbligo di vaccinazioni per il personale sanitario, che non abbiamo voluto e che non avremmo di certo chiesto, forti di un senso di responsabilità che ci ha distinti dal primo giorno di questa estenuante battaglia.
Perché lo diciamo a gran voce, rispetto a dati che rimangono incerti e ballerini: ci sentiamo di poter affermare che non tutti gli infermieri italiani che risultano ancora scoperti dalla somministrazione vaccinale, possono e devono essere classificati come no vax».
Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up, nel commentare le recenti dichiarazioni del Viceministro Sileri sui presunti 45mila medici e infermieri che rischiano la sospensione perchè hanno deciso di non sottoporsi alle somministrazioni.
«Ci fa piacere che finalmente anche Sileri riscontri, in qualche modo, la nostra linea di pensiero, quando afferma che le cifre a disposizione non ci permettono di avere la certezza di dati schiaccianti in merito a chi, tra il personale sanitario, non si è ancora vaccinato. Soprattutto anche noi siamo dell’avviso che tanti di questi professionisti potrebbero avere alle spalle solide motivazioni di salute per non avere ancora scelto la strada della vaccinazione, e in ogni caso siamo di fronte a percentuali oggettivamente esigue, che non possono autorizzare affatto questo clima di “punizioni estreme” da parte delle Regioni.
Lo ribadiamo, la legge e c’è e va applicata, ma così come contempla le sanzioni, allo stesso modo prevede la concreta possibilità di utilizzo alternativo del personale, attraverso funzioni non a diretto contatto con i soggetti fragili. Abbiamo invitato più volte le stesse Regioni a creare sinergie costruttive con il Governo e con noi sindacati, investendo per esempio lo straordinario patrimonio di risorse umane delle quali parliamo, in progetti di formazione ed educazione sanitaria in svariati ambiti, come ad esempio quello della prevenzione del diabete, dell’obesità, delle malattie cardiovascolari, mettendo proprio nelle mani di coloro che non si vaccinano, strumenti informatici che permetterebbero a molte ASL di coniugare tecnologia, professionalità ed aggiornamento in favore della cittadinanza.
45mila operatori alla fine corrispondono in termini di valori assoluti al 2,2-2,3 per cento dei professionisti sanitari impegnati nel comparto, e ciò significa che i numeri, tenuto conto della vastità del comparto stesso, non sono poi così alti. E tra questi, sono ancora meno gli infermieri.
Ma non dimentichiamoci, continua De Palma, che siamo nel pieno della stagione estiva e non possiamo certo permetterci di svuotare gli ospedali.
Perché questo timore? La risposta è semplice: la carenza strutturale di infermieri è di 90mila professionisti, motivo per cui una eventuale ulteriore mancanza, anche di piccole percentuali, corre il rischio di mettere a repentaglio l’intero sistema, già di per sè molto fragile.
Questo accade perché le aziende sanitarie, da un lato sono chiamate a sospendere i professionisti che non si sono vaccinati, dall’altro devono garantire i servizi in una condizione di criticità, insomma, così facendo il rischio è che ci andranno ancora una volta di mezzo le attività ordinarie. La norma sull’obbligatorietà non ha portato grandi benefici e anzi purtroppo espone l’SSN e continuerà a farlo ancor di più nei mesi estivi. I fatti ci daranno conto, con le loro evidenze, che la scelta di introdurre una norma così drastica, in un momento mai più sbagliato di questo, poteva e doveva essere evitata».
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