Regione

Nota del Sindacato Infermieri Italiani Nursing Up del 23 aprile 2021

De Palma: «Infermieri in fuga dalle Rsa lombarde? Mancano strategie e sinergie tra Governo e Regioni. Occorre ripartire dalle basi, valorizzare la professione dal primo giorno del percorso di studi, formando sempre di più nuovi professionisti»

ROMA – «Il virus ha messo a nudo le fragilità di quelle Regioni come la Lombardia che altro non sono che enormi giganti dai piedi d’argilla. Tante realtà ospedaliere pubbliche vetuste, una carenza di personale che affonda le sue radici da molto tempo prima della pandemia, e poi mancanza di organizzazione, a fronte di un territorio vastissimo dove l’emergenza ha causato un ricarico insostenibile nei ricoveri. E mentre la sanità pubblica concentrava le già scarse energie dei professionisti nelle aree covid, a soffrire sono stati i pronto soccorsi, intasati e allo stremo. Per non parlare delle continue e inevitabili chiusure dei reparti ordinari: ricoveri bloccati, interventi sospesi, malati cronici lasciati senza un’assistenza continuativa degna di tal nome.

E poi senza assunzioni di massa a tempo indeterminato, senza i ricambi di personale, in particolare tra la prima e la seconda ondata, il Covid ci ha lasciato nelle mani una coperta fin troppo corta per coprire tutte le magagne.

Dall’altra parte le Rsa lombarde sono arrivate, giorno dopo giorno, a una emergenza che sembra non avere mai fine. I dati parlano di infermieri in fuga, ogni mese, ogni settimana, verso la sanità pubblica. Ma per quale ragione un collega allora dovrebbe scegliere di lasciare le strutture private per tornare negli ospedali che, come appare chiaro dalle nostre riflessioni, non sono certo isole felici? Perché si accorge di essere finito dalla padella alla brace. Triste ma ahimè veritiero! 

Intanto rimangono i fatti: le cifre allarmanti ci raccontano di strutture per anziani e disabili con addirittura un solo infermiere ogni 60 pazienti!».

Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up.

«La Lombardia presenta da sempre una sanità privata che appare come un micromondo, profondamente complesso e distante anni luce per caratteristiche ed esigenze dal nostro SSN. 

Realtà complesse, incentrate spesso sull’ospitalità no profit: congregazioni religiose, enti senza scopo di lucro. E’ qui che servirebbe un piano strategico, che dovrebbe essere finalizzato a creare un solido filo conduttore tra sanità pubblica e privata. 

È qui che gli infermieri dipendenti sui quali già possiamo contare, liberati dai lacci e laccioli del vincolo di esclusività, incamminati lungo la strada della libera professione, potrebbero offrire il loro supporto e la loro esperienza, sostenuti da una coeva ed indispensabile valorizzazione della categoria, a partire dal percorso di studi. 

Perché abbiamo bisogno dei ricambi generazionali, perché occorrono le nuove leve, perché la sanità al di fuori della realtà ospedaliera, quella che include ad esempio le strutture per anziani e i centri per disabili, ha bisogno sempre di più di personale qualificato, formato anche in modo specifico a seconda delle necessità dei malati e delle loro patologie, e forte di un aggiornamento costante e continuativo anche dopo la laurea. 

Giovani motivati che arrivano da un percorso di studio solido e specifico, da una preparazione che può garantire il sostegno costante dei malati cronici, dei soggetti più fragili e di chiunque necessiti di un apporto competente e qualificato. 

I numeri parlano chiaro, la popolazione italiana, più di altre, viaggia verso un inesorabile invecchiamento e con esso si registrerà sempre di più l’aumento di determinate patologie complesse, rispetto alle quali le cosiddette “soluzioni tampone” potrebbero rivelarsi disastrose. 

Parliamo delle recenti scelte di “attribuire alla qualunque” delicate attività professionali sottese da alvei di competenze e conoscenze che vengono maturati dopo anni ed anni di studio universitario, e che non si acquisiscono con un mero “corsetto” on line. Sissignore, il rischio è quello di generare una involuzione del sistema assistenziale verso l’approssimazione ed il pressappochismo.

Ma se così dovesse essere, allora riabilitiamo la “Signora Pina”, quella della porta accanto, che con amorevole incompetenza ma tanto buon cuore ci rincorreva quando eravamo bambini per somministrarci la diabolica penicillina. Cosa conta se a quei tempi gli ascessi e le ferite suppurate erano un cruccio quotidiano per la gente?

Ma si, a cosa serve sottilizzare. D’altronde nessuno si farà trovare impreparato perché Governo e Regioni useranno ancora una volta la loro bacchetta magica. In fondo basterebbe tirar fuori dal cilindro un altro corso a distanza per “trasformare” farmacisti e biologi in nuovi eroi, ad esempio un corso dal titolo “infermiere per approssimazione” … e voilà, trovata la soluzione: potremmo mandare proprio loro nelle RSA, al posto dei nostri infermieri in fuga».

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Pubblicato da
Roberto Di Biase

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