Nella Galleria dell’Immagine “Dal Neorealismo al kitsch del XXI secolo” a cura di Roberto Maggiori
RIMINI – La Galleria dell’Immagine di Rimini, sulle cui pareti sono passati autori come Ugo Mulas, Luigi Ghirri, Guido Guidi e Stephen Shore, esporrà dal 11/12/2015 al 24/01/2016 le fotografie di Italo Zannier, dalle stampe vintage degli anni ’50 e ’60 fino alle recenti immagini a colori realizzate tra il 2007 e il 2013. Venerdì 11 dicembre alle ore alle ore 18 ci sarà l’inaugurazione della mostra alla presenza dell’autore. La mostra ad ingresso libero sarà aperta tutti i gioni dalle ore 16 alle ore 19, lunedì non festivi chiuso.
Tutti conosciamo Italo Zannier, il critico appassionato, il filologo attento, il collezionista vorace, l’animatore e direttore di riviste, il saggista e storico della fotografia che Germano Celant ha definito un “living monument” nazionale. Non tutti sanno però che l’ingresso nel mondo della fotografia Zannier lo fa da fotografo nel 1952, due anni prima di iniziare l’attività critica. Parallelamente a questa, Zannier fotograferà ininterrottamente fino al 1976, anno del terribile terremoto friulano, dopo il quale si dedicherà esclusivamente alla Storia della fotografia.
Sul versante del “Neorealismo” il contributo del giovane Italo è precoce, grande appassionato del cinema di quegli anni, dopo essersi cimentato con alcuni cortometraggi in Super 8, Zannier passa definitivamente alla pratica fotografica a cui assocerà presto anche una lucida critica redigendo nel 1955 il manifesto del “Gruppo friulano per una nuova fotografia”, firmato da tutti i fondatori di quel sodalizio in cui figurano, oltre allo stesso Zannier, fotografi come Toni Del Tin, Fulvio Roiter e altri. Al gruppo, a cui si aggiungeranno autori come Gianni Berengo Gardin e Nino Migliori, va riconosciuto il merito di aver promosso, tra i primi in Italia, una fotografia non più rivolta esclusivamente alla ricerca del “bello scatto” e all’immagine estetizzante fine a se stessa, ma un approccio in linea con le innovatrici istanze promulgate in quegli anni da Pietro Donzelli e pochissimi altri. Questa è storia nota, utile però a evidenziare come da queste immagini emerga un “racconto critico” che si evince dai personaggi, dagli ambienti, dagli oggetti e dalla tipologia sociale, proletaria e contadina, a cui fanno riferimento quei luoghi.
Gli spazi e il modo di raccontarli, e qui entra in gioco anche l’interesse per l’architettura che Zannier, allievo di Bruno Zevi, trasferisce nelle sue fotografie. Dalle stanze firmate da Adolf Loos, commissionategli da Zevi negli anni ’50, alle architetture dell’amico “Lulli” Anichini, fino ai poveri interni friulani del dopoguerra: camere da letto di Claut, cucine di Aviano, stamberghe di Erto o i viottoli della Carnia. Da una parte la delimitazione circoscritta a un progetto illustre, dall’altra il risultato di un processo collettivo, di una comunità con i suoi usi, costumi e fotografie, spesso presenti sulle pareti a mo’ di reliquie.
In queste immagini essenziali, ricche al tempo stesso di interessanti indicazioni sociali e di lirismo (la rappresentazione di qualcosa che va scomparendo, per quanto distaccata, evoca inevitabilmente una certa romantica malinconia), emerge un racconto che, protratto negli anni, testimonia l’evoluzione della società, dapprima friulana e poi, con l’incedere della globalizzazione, italiana ed europea. Prende così forma un cambiamento epocale, quando la società da rurale e contadina va via via trasformandosi in industriale, acquisendo tutti i vantaggi e le comodità della grande distribuzione, ma anche il kitsch che può conseguirne.
Questa peculiare sintesi appare emblematica nelle diacronie concluse nel 1976. In questi lavori Zannier torna sugli stessi luoghi fotografati sedici anni prima e dallo stesso identico punto di vista, con la stessa lunghezza focale, posizionando i personaggi nel medesimo punto, rileva il mutamento dell’ambiente e dei protagonisti che lo animano, in anticipo rispetto a progetti internazionali come ad esempio il noto “Second View”, realizzato negli anni ’80. Con questa singolare narrazione in cui il passato volge al futuro, e viceversa, Zannier amplifica l’ineguagliabile forza della fotografia nel rappresentare i mutamenti storici. Purtroppo pochi mesi dopo sopraggiunge il terremoto del Friuli che cancella molti dei luoghi fotografati da Zannier, consegnati definitivamente alla storia e all’immaginario collettivo sotto forma di immagine bidimensionale.
Dopo più di trent’anni, Zannier riprende a fotografare con nuovo entusiasmo. Questa volta gli spazi sono quelli globalizzati e standardizzati della nostra contemporaneità e al lirismo intimo degli interni friulani si sostituisce un’ironia fragorosa. È un tripudio di kitsch fotografato in ogni dove, da New York a Barcellona, da Parigi a Vienna, fino a Venezia, “quasi una storia postneorealista”, così la definisce lo stesso Zannier, sottolineando l’impossibilità di immaginare oggi forme di realismo verosimili in una società irrimediabilmente contaminata dai reality e dalla spettacolarizzazione, senza troppe pretese, di tutto e di tutti.
La mostra, allestita nelle stanze dello storico Palazzo Gambalunga di Rimini, raccoglie fotografie vintage di Zannier che vanno dgli anni ’50 ai ’70, più alcuni lavori dedicati al paesaggio urbano, realizzati dopo il 2000.