RIMINI – Facilitare le esportazioni aprendosi a nuovi mercati. Già, ma come? A questo tema, vitale per il futuro dell’ortofrutta italiana, il Centro servizi ortofrutticoli (Cso Italy) ha dedicato un convegno nel pomeriggio di mercoledì 8 maggio all’interno di Macfrut.
Il dibattito è stato preceduto da un’approfondita analisi della situazione produttiva e commerciale dell’ortofrutta italiana, curata dalla direttrice del Cso Elisa Macchi. È stato evidenziato come negli ultimi anni la produzione di pere sia scesa da 900mila a 700mila tonnellate (con consumi interni in ripresa negli ultimi anni), mentre Belgio e Olanda (combinati) sono passati nello stesso lasso di tempo da 350mila a 720mila tonnellate. Le problematiche geopolitiche pesano, dall’embargo nei confronti della Russia all’instabilità della Libia. Basti pensare che tra il 2011 e il 2015 le esportazioni di pere italiane nel nord Africa avevano superato le 11mila tonnellate annuali. E mentre le pere del Belpaese non possono ancora entrare in Cina (dopo due anni di trattative), Belgio e Olanda vi esportano già dal 2014.
Per quanto riguarda i kiwi, prodotto che vede l’Italia leader nel mondo per produzione ed export, sta aumentando la concorrenza greca, mentre la produzione si è ormai attestata sulle 400mila tonnellate annue (a fronte di un potenziale di 600mila tonnellate), con consumi stabili.
Stabile anche la produzione di mele, costante sui 2,2 milioni di tonnellate, con un 50 per cento di prodotto venduto sui mercati esteri (e una tendenza dei consumi interni non del tutto positiva). Questo mentre la Polonia ha raddoppiato la propria produzione di mele da 2,3 milioni a 4,5 milioni di tonnellate nel giro di pochi anni.
In sofferenza le arance, come del resto l’intero comparto agrumi. L’offerta italiana si è contratta dai 2 milioni di tonnellate dei primi anni 2000 a 1,6 milioni di tonnellate, mentre l’import di prodotto spagnolo è quasi triplicato (da 50mila a 140mila tonnellate). Da inizio 2019 le arance si possono esportare in Cina, ma per ora solo quelle rosse (assieme ai limoni).
L’uva da tavola ha visto calare l’offerta a circa un milione di tonnellate annuali. Si tratta della seconda specie frutticola italiana più esportata dopo le mele, ma i volumi sono scesi del 17 per cento rispetto ai primi anni 2000. Il consumo interno continua a calare: dai 230mila euro tonnellate di inizio secolo si è arrivati alle 170mila degli ultimi anni. L’Italia mantiene comunque il primato a livello europeo della produzione (il 60% dell’uva da tavola dell’Ue viene dall’Italia), superando nettamente Grecia (290mila tonnellate) e Spagna (270mila tonnellate). L’export italiano rimane concentrato però, per oltre il 90 per cento, nei paesi dell’Unione europea. Bisognerebbe aprirsi a nuovi mercati come Cina e Vietnam (già raggiunti dalla Spagna), Thailandia e Sud Africa.
Dalla tavola rotonda sono emerse le problematiche degli addetti ai lavori che, al termine, hanno consegnato un documento con le proprie richieste a Giuseppe Blasi, capo dipartimento delle Politiche europee e internazionali e dello sviluppo rurale del ministero per le Politiche agricole. Gli esperti lamentano il persistere dell’embargo nei confronti della Russia, la chiusura di mercati seguita alla primavera araba, la necessità di definire le regole d’accesso dei prodotti all’estero. Per competere ad armi pari con la Spagna e altri bisogna poi aumentare la competitività dell’intero sistema Paese, dai costi della manodopera a quelli dell’energia, aggregando anche la produzione dei distretti per fare massa critica a livello logistico (con conseguente inversioni delle rotte delle compagnie marittime e riduzione dei giorni di viaggio in nave).
Blasi ha convenuto sulle richieste, spronando tutti a fare sistema. L’invito è stato quello di mettere a sistema le regole dei disciplinari e quelle produttive, evitandone il proliferare. Per riuscirci, entro la fine del mese sarà convocato un tavolo per condividere strategie comuni tra tutti gli attori.
Le conclusioni sono state affidate all’assessora all’Agricoltura dell’Emilia-Romagna Simona Caselli, assessore alle Politiche agricole dell’Emilia Romagna e presidente di Areflh (l’Assemblea delle Regioni europee dei prodotti ortofrutticoli): “Il problema dell’export, da risolvere di volata, è l’insufficiente organizzazione dell’offerta. Su alcune produzioni poi ci dovrebbe essere una programmazione di bacino mediterraneo, dato che le variazioni di spagnoli e greci ci toccano da vicino”. La Regione Emilia-Romagna ha investito sul settore fitosanitario, che conta oggi 70 addetti, oltre a tessere relazioni con l’estero (Cina in primis) utili all’intero Paese: “Ma l’Europa deve fare l’Europa: sul commercio internazionale se facciamo i sovranisti siamo fregati. Solo l’Europa ha la massa critica per dire basta ai dossier nazionali. Se i francesi accedono già ad un mercato estero, ad esempio, perché noi non possiamo?”.
A che punto è il consumo di ortofrutta tropicale? Se ne è parlato oggi alla seconda edizione del Tropical Fruit Congress organizzato a Macfrut. “Abbiamo deciso di dedicare spazio alla frutta tropicale perché crediamo che sia un’ottusità considerare solo la produzione nazionale, soprattutto a Macfrut che è una fiera di filiera internazionale”, ha introdotto Renzo Piraccini, presidente di Macfrut.
A fare il punto della situazione per i consumi di ortofrutta tropicale nell’Unione Europea è stata Daria Lodi del Centro Servizi Ortofrutticolo (Cso Italy) che ha detto “dal 2013 al 2017 il consumo di ananas, lime, papaya e passion fruit è cresciuto di 7 milioni di tonnellate mentre solo nel 2018 si è registrata una crescita del 16% che ha permesso di oltrepassare gli 8 milioni di tonnellate. Dal 2009 al 2018 i Paesi che hanno maggiormente acquistato frutta esotica sono stati Regno Unito (+27% rispetto 2009), Germania (+19% vs 2009) e Italia (+25% vs 2009); seguiti da Francia (+73% vs. 2009) e Polonia (+53% vs. 2009). Secondo i consumi del 2018, sul podio dei frutti esotici troviamo la banana (71%), seguita da ananas (11%), avocado (6%), mango (4%) e platano (3%). In Italia nel 2018 il consumo domestico di frutta tropicale è stato pari al 12% su tutta la frutta consumata: per la maggior parte gli italiani hanno preferito acquistare banane (77%), oltre a ananas (16%), mango (1%) e altri frutti (6%). Se messe insieme queste specie, spesso dal basso impatto sul mercato se considerate singolarmente, non possono essere sottovalutate: la popolazione è infatti curiosa di provarle e l’appeal sul consumatore rimane elevato”.
Un focus sulla papaya è stato proposto dalla ditta brasiliana Caliman Agricola “Da oltre 40 anni esportiamo papaya negli Stati Uniti e in Europa nelle varietà Sunrise Solo, Golden Solo e Formosa, ma ricordiamo che su 1.400.000 tonnellate di frutti prodotti, solo il 3% viene esportato perché il Brasile ha un fortissimo mercato interno. Nonostante questi numeri, le esportazioni crescono ogni anno di circa il 10%: nel 2018 abbiamo esportato 42 mila tonnellate di papaya per un totale di 58 milioni di dollari. Urge specializzare la nostra produzione anche se a volte non riusciamo ad usare tutto quello che produciamo. Seguendo quest’ottica, abbiamo progettato due sementi di papaya ibrida, Calimosa e Vitória, per ottenere un frutto meno sensibile alle malattie e dalla shelf-life più lunga”.
A parlare di lime è invece intervenuto Andreas Schindler di Don Limón “Il lime viene prodotto in Messico da piccoli agricoltori ed è molto difficile esportarlo. Nella maggior parte dei casi i piccoli produttori non hanno abbastanza spazio per produrre tutto ciò di cui hanno bisogno. In secondo luogo il lime è un prodotto molto delicato e ogni frutto va controllato quotidianamente sia per evitare furti che eventuali danni, infine il prodotto va confezionato manualmente. C’è bisogno di creare una squadra in grado di capire le necessità di questi piccoli produttori, che hanno una mentalità molto chiusa. Infine, si deve cercare di piazzare il prodotto sul mercato e, allo stesso tempo, raggiungere la migliore qualità possibile”.
Odilo Duarte ha invece fatto il punto sul frutto della passione “che può essere di due tipi: il giallo è generalmente destinato all’industria per la trasformazione mentre il viola si utilizza nei consumi domestici. Nonostante sia una pianta molto difficile da coltivare, considerate le tecniche di impollinazione e irrigazione, ha elevati valori nutrizionali e contiene acidi, vitamina C e vitamina A ed è ampiamente utilizzata in ambito medico contro insonnia ed asma”.
Premiate le aziende innovative dell’ortofrutta con la quinta edizione del Macfrut Innovation Award (Mia) 2019, il premio organizzato da Cesena Fiera e L’Informatore Agrario. In tutto sono stati 19 i riconoscimenti alle aziende innovative con l’Emilia Romagna con il maggior numero di medaglie (7), seguita da Lombardia e Veneto a pari merito con 3 medaglie ciascuna, Campania (2 medaglie), Sardegna (1) e Sicilia (1), mentre 2 riconoscimenti volano all’estero in Austria e Regno Unito.
Link all’elenco completo dei premiati: www.informatoreagrario.it/mia2019
Info Macfrut 2019
Macfrut è organizzato da Cesena Fiera e si svolgerà in Fiera a Rimini nelle giornate 8-9-10 maggio 2019, orario 9.30-18.00.
www.macfrut.com
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