Al centro dello studio c’è il ruolo chiave di strutture non canoniche del DNA note come “quartetti di guanine” (G4): una tipologia di danno genetico che è in grado di attivare i meccanismi di difesa dell’organismo. I risultati dello studio – pubblicati sulla rivista PNAS – aprono la strada a nuove modalità di trattamento dei tumori.
CELLULE INSTABILI
La molecola di DNA custodita all’interno di ogni cellula umana è composta da circa 6,5 miliardi di “mattoncini” chiamati nucleotidi, che possono essere di quattro tipi a seconda delle quattro diverse basi azotate presenti: adenina (A), timina (T), guanina (G) e citosina (C). Questa architettura estremamente complessa è però anche particolarmente esposta ad agenti esterni ed interni (radiazioni, tossine, agenti chimici, ma anche sottoprodotti del normale metabolismo cellulare) che finiscono per danneggiare i nucleotidi: ogni danno provoca un’ alternazione nel genoma che può portare a mutazioni o riarrangiamenti dei cromosomi, minacciando così il corretto funzionamento della cellula.
Le cellule tumorali sfruttano comunemente queste alterazioni per adattarsi a condizioni diverse ed evitare gli effetti delle terapie. Ma se da un lato l’instabilità genomica favorisce la malattia, in alcune occasioni può anche rivelarsi un’arma a doppio taglio. “In alcuni casi, il danno al DNA può diventare un campanello d’allarme che risveglia i meccanismi di difesa dell’organismo”, spiega Giovanni Capranico, docente dell’Università di Bologna che ha coordinato lo studio. “La nostra ricerca mostra infatti come alcuni composti che interagiscono con strutture non canoniche del DNA note come quartetti di guanine (G4) possono portare ad una particolare instabilità genomica in grado probabilmente di attivare la risposta immunitaria”.
QUARTETTI DI GUANINE
Osservati per la prima volta solo pochi anni fa, i quartetti di guanine (G4) sono strutture di DNA che invece della classica doppia elica presentano una quadrupla elica formata dall’incontro di quattro sequenze ricche di guanina. Si tratta di “formazioni instabili” e per questo possono rivelarsi un punto strategico per attivare meccanismi in grado di provocare la morte delle cellule tumorali. Non a caso molti scienziati sono impegnati da tempo nella ricerca di composti chimici capaci di interagire attivamente con i G4 e di essere efficaci nella terapia dei tumori.
“Lo studio è partito dall’ analisi del meccanismo molecolare di alcuni composti che interagiscono con i quartetti di guanine, uno dei quali è stato sintetizzato proprio all’ Università di Bologna, nei laboratori del nostro Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie dalla dottoressa Rita Morigi”, spiega il professor Capranico. L’azione di questi composti è particolarmente rilevante perché agisce allo stesso tempo su due fronti: da un lato provoca la morte delle cellule tumorali e dall’ altro attiva i meccanismi di difesa dell’organismo stimolando la risposta immunitaria contro la malattia. “Queste molecole – conferma Capranico – sono in grado di stabilizzare i G4 e anche altre strutture non canoniche del DNA all’ interno delle cellule tumorali: un fenomeno che provoca gravi disfunzioni nell’ attività del genoma”. Un risultato che apre la strada a nuove modalità di trattamento dei tumori. “Il risultato è positivo, ma la ricerca deve continuare perché non abbiamo ancora la molecola giusta, adeguata per il trattamento di pazienti oncologici”, precisa il prof. Capranico.
I PROTAGONISTI DELLO STUDIO
La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America (PNAS) con il titolo “DNA damage and genome instability by G-quadruplex ligands are mediated by R loops in human cancer cells”.
A realizzare lo studio – finanziato con un contributo dell’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (AIRC) – è stato il gruppo di ricerca guidato dal professor Giovanni Capranico al Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie dell’Università di Bologna: Alessio De Magis, Stefano Manzo, Marco Russo, Jessica Marinello, Rita Morigi. Ha collaborato inoltre Olivier Sordet dell’Università di Tolosa (Francia).
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