Sono passati meno di 4 mesi dal femminicidio di Silvana Bigatti e di Eleonora Moruzzi prima di lei e purtroppo, riscontriamo gli stessi problemi nella narrazione di queste morti per mano maschile. La parola femminicidio, che è, finalmente, entrata a far parte del linguaggio comune, quando la donna uccisa, dal partner o dall’ex partner, è giovane ed in salute, sembra non essere considerata per le donne malate o di età superiore ai 70 anni.
Piera Ebe Bertini aveva 77 anni e soffriva di Alzheimer. Nessuna di queste è una condizione mortale od una colpa, eppure troppo spesso essere una donna anziana e/o malata, in Italia, porta a morti brutali e assassinii. Il Coordinamento dei Centri Antiviolenza dell’Emilia-Romagna ribadisce che questa tipologia di delitti non ha niente a che fare con la pietà o l’eutanasia e tutto a che fare con la violenza contro le donne. Perché a decidere il fine vita non sono le donne, ma gli uomini, che si arrogano il diritto di uccidere.
Questa tipologia di femminicidi è il prodotto di una definizione sociale dei ruoli entro la famiglia, che ancora sostiene aspettative di accudimento in carico alle sole donne. La sovversione della responsabilità di cura, all’interno della famiglia o della coppia, è qualcosa di fronte al quale l’uomo si trova impreparato e reagisce spesso come se fosse egli stesso il soggetto leso. Così succede che una donna anziana e malata vada incontro all’abbandono o, in casi estremi, al femminicidio: l’eliminazione fisica di colei che non risponde più al ruolo attribuitole da una società patriarcale.
Enzo Giardi, il marito – e femminicida reo confesso – di Piera Ebe Bertini, ha 78 anni. Non si tratta di un mostro, ma del prodotto della società in cui viviamo. Quanti uomini della sua età hanno imparato a prendersi cura, quantomeno di sé stessi, se non della loro compagna o figli? Quanti sanno cucinare un pasto, rifare un letto o fare una lavatrice? Quanti sanno prendersi cura di una persona malata, prendere gli appuntamenti dal medico o fare un’iniezione?
C’è bisogno che nelle scuole e nelle famiglie si insegni che la cura è una responsabilità anche degli uomini. Serve anche una politica di welfare, che non lasci sole le famiglie con persone malate croniche e anziane.
Mentre ci impegniamo per costruire una società più giusta, i Centri del Coordinamento offrono accoglienza e supporto alle donne che desiderano intraprendere un percorso di fuoriuscita dalla violenza. Ricordiamo che a Ravenna c’è il nostro Centro associato Linea Rosa Odv, che da oltre 30 anni aiuta le donne a liberarsi da situazioni di violenza. È possibile rivolgersi al Centro chiamando il numero 0544 216316. È possibile chiamare anche solo per chiedere informazioni. Rivolgersi a un centro antiviolenza non comporta nessun obbligo di denuncia, e tutte le azioni del percorso di fuoriuscita dalla violenza sono guidate dalla donna.
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