Presenzieranno alla proiezione, l’autrice del documentario, Valentina Arena, la storica Elena Pirazzoli e la direttrice del Museo Ebraico di Bologna Caterina Quareni. Nell’occasione, la presidente di Alma Finalis, Anna Rita Molesini, illustrerà il progetto “Walking Tour sulla via dei giusti”.
LA VICENDA DI DON RICHELDI
Nel 1943, a Finale Emilia viveva un ristretto gruppo di ebrei nella condizione di “libero internamento”. Tra questi vi erano Fryderyke Hubschmann, il rabbino Maurizio Levy con la madre Sarina Finzi e la moglie Hanna Salpeter, Erich Memelsdorff con la moglie Betty Prager, Marcel Trostel con la moglie Ella Haszab e Alexander Mayerhofer con la moglie Aranka Nemenyi.
Dopo l’8 settembre tutti gli internati si trovarono in grande pericolo: il 9 settembre la Wehrmacht, giunta a Finale, fece arrestare tutti gli uomini ebrei e sei antifascisti e li rinchiuse nelle carceri del Castello delle Rocche.
A seguito della protesta dei finalesi, dopo un paio di giorni, vennero tutti liberati.
Una volta liberi, gli ebrei chiesero aiuto al parroco di Finale, don Andrea Cappellini, che li indirizzò a don Benedetto Richeldi, che all’epoca aveva una trentina d’anni ed era coadiutore del parroco di Massa Finalese, dopo essere stato insegnante ed economo presso il seminario di Finale Emilia.
Don Richeldi coinvolse alcune famiglie di Finale Emilia che accolsero e nascosero nelle loro case, a proprio rischio e pericolo, questi perseguitati.
Dal canto suo, egli assunse per sé il difficile incarico di accompagnare gli ebrei fuggitivi in un collegio cattolico che si trovava sull’Appennino modenese.
Nel novembre 1943, dal momento in cui la polizia fascista iniziò la ricerca degli ebrei nei paesi della montagna modenese, il gruppo fu di nuovo riportato a Finale e nascosto ancora presso alcune coraggiose famiglie del paese. Ad esclusione di Frida Hubschmann che restò nel Convento dell’Immacolata di Palagano, protetta dalle suore francescane, fino alla Liberazione
Il mese successivo don Richeldi pianificò la fuga del gruppo verso la Svizzera: preparò documenti falsi (grazie a Cesare Farina, capo della Polizia urbana di Finale, e al segretario comunale Achille Venturelli) e provviste per il viaggio.
A metà dicembre, con l’aiuto di Fausto Testi e delle staffette Flavio Borsari e Roberto Ferraresi, i fuggitivi raggiunsero finalmente il confine svizzero e si misero in salvo.
Don Richeldi continuò il suo rischioso lavoro per salvare gente ingiustamente perseguitata: tra questi i fratelli Felice e Rodolfo Bassani, il dottor Roberto Leone Finzi, tutti ebrei ferraresi, e il conte di origine ebraica Renzo Carrobio di Carrobio, figlio dell’Ambasciatore Vittorio Sacerdoti di Carrobio, che era entrato nelle file della Resistenza.
Don Benedetto mantenne anche stretti rapporti con la resistenza locale riuscendo a nascondere e salvare anche militari alleati evasi dai campi di prigionia modenesi, i renitenti alla leva nell’esercito repubblichino e partigiani, a cui fornì armi sottratte alle forze germaniche e italiane dai suoi collaboratori.
Denunciato e ricercato, nel luglio 1944, sotto il falso nome di don Carlo, si rifugiò a Palagano dove rimase sino alla fine della guerra.
Il 3 maggio 1973 la Commissione dei Giusti presso l’Istituto Commemorativo dei Martiri e degli Eroi Yad Vashem, grazie alle testimonianze dei Lévy e di Frida Hubschmann, assegnò al sacerdote la medaglia di Giusto tra le Nazioni, che egli ritirò con il diploma il 29 ottobre 1974 presso l’Ambasciata d’Israele a Roma.
Nel 1993 il Comune di Finale Emilia invitò Maurice Lévy, Frida Hubschmann e don Richeldi, insieme a Berto Ferraresi, a una cerimonia in occasione della celebrazione del 25 aprile. In quella circostanza don Richeldi fece dono al Comune di Finale della sua medaglia di Giusto tra le Nazioni, oggi collocata presso la sezione ebraica del Museo del Territorio di Finale Emilia.
Don Richeldi morì a Modena il 18 febbraio 1997.
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