Vincitrice del Premio Fondazione Modigliani per la sezione pittura, l’artista propone al pubblico una sessantina tra dipinti, disegni e incisioni su lamine e fuoco.
Il corpo femminile in Poletti è da sempre protagonista.
Scrive Barbara Codogno nel saggio critico a compendio del catalogo: “Poletti è una Francesca Woodman col pennello, anche le sue opere sono istantanee dell’anima, meravigliose e disperate, piene di grazia e tristezza. Eppure, forti, risolute. Il surrealismo magico e onirico caratterizza la narrazione della pittrice. Poletti ci mostra l’anatomia dell’anima, esce dal corpo prigione e con le sue creature frammentarie sceglie sempre il bivio: da una parte lo slancio del sogno, l’impennata onirica; dall’altra l’affondo nel folclore magico, nel simbolismo, nel mitologico. E quindi il grande tema del notturno, dell’ombra, e del lunare”.
TESTO CRITICO DI BARBARA CODOGNO
Le poesie sono frasi che si sono tolte i vestiti.
Marlene Dumas
Si comincia così: una mano aperta sull’invisibile, lo spazio e il tempo che fuoriescono dalle stigmate di grafite e annientano il dolore. Lo spazio bianco, zona franca, che si apre come una voragine di silenzio, è una tregua. Momentanea.
Guardando le opere di Poletti esposte in questa importante personale romana vengono in mente le parole di Maria Lassnig : stiamo per entrare “nella terra delle donne forti”.
Il corpo femminile in Poletti è da sempre protagonista, e rivendica il centro della scena.
Poletti è una Francesca Woodman col pennello, anche le sue opere sono istantanee dell’anima, meravigliose e disperate, piene di grazia e tristezza eppure forti, risolute.
Vediamo ad esempio dei candidi calzini e delle scarpine nere, una bambina è stesa a terra, almeno così la immaginiamo: il corpo è nascosto dall’erba di un prato.
Pensiamo alla verginità infranta e violata, al tempo dell’infanzia che si è concluso tragicamente e trova dimora tombale in un campo di verde nero.
Quest’erba però è anche limen, segna l’ingresso al bosco stregato, qui è certo: la bambina trova rifugio e il suo vero, profondo sostentamento. Nel bosco abitano le antiche potenze ctonie; dal bosco esce adesso una donna, risanata dai rituali di cui porta i segni tatuati sulla pelle. E gli animali totemici che ne sigillano l’integrità non sono soltanto a guida del profondo, ma vero e proprio esercito magico pronto alla battaglia.
Il surrealismo magico e onirico che caratterizza la narrazione della pittrice non è mai una protesi decorativa a corredo dell’impianto figurativo, piuttosto: l’immaginazione scalza il corpo, che non è mai una prigione- e proprio dal corpo s’invola. Solve et coagula.
Poletti ci mostra l’anatomia dell’anima, esce dal corpo prigione e con le sue creature frammentarie sceglie sempre il bivio: da una parte lo slancio del sogno, l’impennata onirica, dall’altra l’affondo nel folclore magico, nel simbolismo, nel mitologico.
La sua è una pittura talentuosa, colta e raffinata: i suoi dipinti hanno sempre una potenza misteriosa e arcana, esasperata da una sottesa sensualità perturbante che raramente si svela. Resta oracolare.
Cromatismi di ghiaccio bollente naufragano in volumi di nero mentre affiorano come magma incandescente i coaguli di pensiero: i corpi spesso monchi; gli animali guardiani a proteggere il segreto.
E una sorta di firma stilistica che proietta il dipinto nella superficie ingannevole dello specchio: una pennellata scomposta, materica, sembra scivolare dal pennello della pittrice. Si apre una breccia nel quadro che magicamente alluna alla sua tridimensionalità. Questa slabbratura ci fa intuire che la pittrice è presente: lei sola ha visto quello che lo specchio ci rimanda come immagine speculare, mai nitida, esasperata in contorni non definiti, in sfumati tragici che ci esasperano. Lei vede l’indicibile.
I corpi di Poletti sono femminili, molti portano arcani segni vergati sulla pelle, quasi sempre mantengono, nei loro arti monchi, quella quota di silenzio – l’indicibile appunto – che è terra sacra del mistero femminino.
Ardono fuochi, come sacri
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