ROMA – Dal 17 novembre al 1° dicembre 2023 la Fondazione Amedeo Modigliani in Roma ospita “La scoperta dell’ombra” personale di Federica Poletti (Modena, 1980).
Vincitrice del Premio Fondazione Modigliani per la sezione pittura, l’artista propone al pubblico una sessantina tra dipinti, disegni e incisioni su lamine e fuoco.
Il corpo femminile in Poletti è da sempre protagonista.
Scrive Barbara Codogno nel saggio critico a compendio del catalogo: “Poletti è una Francesca Woodman col pennello, anche le sue opere sono istantanee dell’anima, meravigliose e disperate, piene di grazia e tristezza. Eppure, forti, risolute. Il surrealismo magico e onirico caratterizza la narrazione della pittrice. Poletti ci mostra l’anatomia dell’anima, esce dal corpo prigione e con le sue creature frammentarie sceglie sempre il bivio: da una parte lo slancio del sogno, l’impennata onirica; dall’altra l’affondo nel folclore magico, nel simbolismo, nel mitologico. E quindi il grande tema del notturno, dell’ombra, e del lunare”.
TESTO CRITICO DI BARBARA CODOGNO
Le poesie sono frasi che si sono tolte i vestiti.
Marlene Dumas
Si comincia così: una mano aperta sull’invisibile, lo spazio e il tempo che fuoriescono dalle stigmate di grafite e annientano il dolore. Lo spazio bianco, zona franca, che si apre come una voragine di silenzio, è una tregua. Momentanea.
Guardando le opere di Poletti esposte in questa importante personale romana vengono in mente le parole di Maria Lassnig : stiamo per entrare “nella terra delle donne forti”.
Il corpo femminile in Poletti è da sempre protagonista, e rivendica il centro della scena.
Poletti è una Francesca Woodman col pennello, anche le sue opere sono istantanee dell’anima, meravigliose e disperate, piene di grazia e tristezza eppure forti, risolute.
Vediamo ad esempio dei candidi calzini e delle scarpine nere, una bambina è stesa a terra, almeno così la immaginiamo: il corpo è nascosto dall’erba di un prato.
Pensiamo alla verginità infranta e violata, al tempo dell’infanzia che si è concluso tragicamente e trova dimora tombale in un campo di verde nero.
Quest’erba però è anche limen, segna l’ingresso al bosco stregato, qui è certo: la bambina trova rifugio e il suo vero, profondo sostentamento. Nel bosco abitano le antiche potenze ctonie; dal bosco esce adesso una donna, risanata dai rituali di cui porta i segni tatuati sulla pelle. E gli animali totemici che ne sigillano l’integrità non sono soltanto a guida del profondo, ma vero e proprio esercito magico pronto alla battaglia.
Il surrealismo magico e onirico che caratterizza la narrazione della pittrice non è mai una protesi decorativa a corredo dell’impianto figurativo, piuttosto: l’immaginazione scalza il corpo, che non è mai una prigione- e proprio dal corpo s’invola. Solve et coagula.
Poletti ci mostra l’anatomia dell’anima, esce dal corpo prigione e con le sue creature frammentarie sceglie sempre il bivio: da una parte lo slancio del sogno, l’impennata onirica, dall’altra l’affondo nel folclore magico, nel simbolismo, nel mitologico.
La sua è una pittura talentuosa, colta e raffinata: i suoi dipinti hanno sempre una potenza misteriosa e arcana, esasperata da una sottesa sensualità perturbante che raramente si svela. Resta oracolare.
Cromatismi di ghiaccio bollente naufragano in volumi di nero mentre affiorano come magma incandescente i coaguli di pensiero: i corpi spesso monchi; gli animali guardiani a proteggere il segreto.
E una sorta di firma stilistica che proietta il dipinto nella superficie ingannevole dello specchio: una pennellata scomposta, materica, sembra scivolare dal pennello della pittrice. Si apre una breccia nel quadro che magicamente alluna alla sua tridimensionalità. Questa slabbratura ci fa intuire che la pittrice è presente: lei sola ha visto quello che lo specchio ci rimanda come immagine speculare, mai nitida, esasperata in contorni non definiti, in sfumati tragici che ci esasperano. Lei vede l’indicibile.
I corpi di Poletti sono femminili, molti portano arcani segni vergati sulla pelle, quasi sempre mantengono, nei loro arti monchi, quella quota di silenzio – l’indicibile appunto – che è terra sacra del mistero femminino.
Ardono fuochi, come sacri