Condivido in larga misura le ragioni della protesta che, a Parma come in tutta Italia, vari gruppi di studenti e studentesse delle Università stanno conducendo per porre attenzione sul problema abitativo che si sta generando in quasi tutte le città universitarie.
Per comprendere il fenomeno occorre preliminarmente osservare che questa problematica si era parzialmente assopita durante il periodo pandemico, quando molte attività didattiche erano state forzatamente condotte a distanza. Il ritorno alla piena ripresa delle attività in presenza, unitamente ai rincari generali dei prezzi cui stiamo assistendo, ha posto in luce in tutta la sua evidenza la ripercussione negativa di tali fenomeni sulle categorie più fragili della popolazione studentesca, e ciò deve interpellarci tutti al fine di individuare le soluzioni più opportune.
Qualcuno potrebbe pensare di risolvere il problema ripristinando alcuni strumenti impiegati nel periodo pandemico, facendo in modo che gli studenti e le studentesse non debbano spostarsi da casa per frequentare le lezioni. Costoro forse non sanno che cosa sia la vita universitaria, quali siano le valenze educative e formative sottese all’attività in presenza. Forse non sanno che l’esperienza universitaria non si limita all’apprendimento di nozioni e al superamento di esami, ma è molto di più, è un’esperienza di vita nella quale il rapporto tra le persone diviene elemento fondamentale nel processo educativo.
Come ho avuto modo di sottolineare anche in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico in corso, l’Università non è solo un’esperienza di formazione e di acquisizione di competenze: l’esperienza di vita che si può e si deve realizzare attraverso il percorso universitario non può prescindere dalle relazioni umane e sociali che si instaurano tra tutte le persone della comunità accademica e che queste persone fanno crescere. Le relazioni sono forse “l’ingrediente” più importante della vita universitaria. È chiaro che ci si deve porre anche l’obiettivo di accogliere coloro che fanno più fatica a essere presenti – e qui gli strumenti informatici aiutano –, così come possiamo rendere agevoli incontri virtuali con colleghe e colleghi, studentesse e studenti che vivono in altre parti del mondo. Ma il rapporto educativo che si genera tra le persone coinvolte in questi processi necessita di incontri, di scambi di esperienze, di condivisione, che solo con la presenza fisica possono pienamente realizzarsi.
Per garantire, quindi, la partecipazione attiva di studenti e studentesse alla vita universitaria occorre fare in modo che le città universitarie possano offrire, a condizioni eque, servizi e strutture indispensabili.
Un tema così complesso, per essere affrontato con la dovuta attenzione, necessita di risposte variegate e convergenti, che evocano precise responsabilità in capo a diversi attori.
Semplificando, una prima soluzione, evocata anche dalle proteste studentesche di questi giorni, consiste nello spronare il Governo italiano affinché vengano investite maggiori risorse economiche finalizzate ad aumentare la dotazione di residenze studentesche nelle città universitarie. Si tratta, ovviamente, di un’azione indispensabile e condivisibile, da appoggiare con convinzione e prevista anche nell’ambito degli investimenti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Il Ministero dell’Università e della Ricerca sta agendo in questa direzione, avendo destinato risorse ingenti a questa azione, ma a mio parere restano diversi dubbi sull’effettiva portata delle soluzioni adottate, soprattutto per quanto concerne i tempi di realizzazione degli interventi – ovviamente e necessariamente non immediati – e per quanto attiene al raggiungimento del necessario equilibrio da perseguire tra l’equità delle condizioni alle quali gli alloggi realizzati saranno offerti agli studenti, l’equilibrio economico dei piani di investimento e, non trascurabili, le condizioni di sostenibilità degli interventi sul piano della programmazione e riqualificazione urbanistica, dell’impatto ambientale e della contrazione del consumo di suolo.
Su questo punto auspico che, al di là delle risposte che potranno essere date da singole istituzioni o da soggetti privati alla manifestazione di interesse richiesta dal MUR con l’avviso emanato qualche giorno orsono, si attivino a Parma (come ho già richiesto da tempo) e in tutte le altre città universitarie, tavoli di lavoro che vedano la presenza dell’Università, dell’Amministrazione comunale del capoluogo provinciale e dei comuni limitrofi, del Demanio e delle altre istituzioni pubbliche e private interessate per definire un piano congiunto di interventi, organico e sostenibile, da presentare per il finanziamento ministeriale. Da segnalare, inoltre, che insediamenti universitari come quelli di cui stiamo discutendo sono da apprezzarsi anche nella loro dimensione di riqualificazione urbana nelle sue dimensioni culturali e sociali, trattandosi di interventi che oltre ad assolvere funzioni abitative devono essere progettati e implementati anche in qualità di “aggregatori” di energie e iniziative culturali e sociali nei quartieri della città sui quali insistono.
In questo quadro, aggiungo che l’Università di Parma, grazie a propri investimenti e a finanziamenti regionali e statali, ha in corso di realizzazione due specifici interventi, uno nel complesso di San Francesco del Prato (circa 90 posti letto) e l’altro nell’ex convento di Santa Caterina in Oltretorrente (circa 60 posti letto). Entrambi gli interventi in questione saranno destinati alle esigenze di tutela del diritto allo studio e si aggiungeranno agli altri 660 posti letto gestiti attualmente dall’azienda regionale per il diritto allo studio (Er.Go). Anche in questo caso, però, i tempi di realizzazione non saranno immediati: basti pensare che i lavori per le residenze ubicate in San Francesco sono appena iniziati, dopo un lunghissimo iter procedurale che è iniziato con la richiesta di finanziamento al MUR nel 2017: complessivamente, quindi, tra progettazione, permessi, autorizzazioni, richieste di revisione del progetto, approvazioni varie, bando di gara, assegnazione ed esecuzione dei lavori, l’orizzonte temporale si attesterà, verosimilmente, su circa 10 anni, un periodo sproporzionatamente lungo. L’auspicio è che per l’intervento sull’ex convento di Santa Caterina si possano comprimere questi tempi: allo stato attuale, dopo l’acquisizione della proprietà del complesso da parte dell’Università nel 2021, il progetto di riqualificazione è al vaglio del MUR per la concessione del finanziamento.
Anche altri potrebbero essere gli interventi di riqualificazione da realizzare a livello cittadino: in questo senso, basti pensare ad alcuni beni di proprietà demaniale attualmente in disuso (ex convento di San Luca ed ex Convitto nel complesso di San Giovanni evangelista, entrambi nel centro città), ai progetti di riqualificazione che insistono nel quartiere di San Leonardo, a beni immobili di proprietà pubblica o privata non ancora destinati in termini di riqualificazione. A questi si aggiungono poi, potenzialità di impiego di immobili destinati a uso alberghiero non pienamente utilizzati dislocati anche nella provincia di Parma, che potrebbero essere destinati a residenze studenti previo un opportuno potenziamento delle linee di trasporto tra detti insediamenti urbani e la città di Parma.
Se, da un lato, tutte le ipotesi sopra elencate devono vederci tutti impegnati per il raggiungimento del risultato finale – più opportunità di alloggio per gli studenti a condizioni economicamente sopportabili –, dall’altro, non si possono aspettare i tempi di queste realizzazioni per dare una risposta convincente.
Già dallo scorso anno, l’Università di Parma ha avviato un percorso di collaborazione con le associazioni dei piccoli proprietari di immobili affinché si potesse favorire la concessione in affitto di appartamenti agli studenti universitari. In sintesi, abbiamo dato vita a un “fondo di garanzia” che possa permettere l’intervento dell’Università in caso di morosità da parte degli studenti e, da quest’anno, a tale garanzia si affiancherà anche una polizza assicurativa a copertura degli eventuali ripristini per danni apportati all’immobile nel corso del periodo di affitto. In contropartita a tali garanzie – concesse a favore degli studenti in base alla loro condizione economica – il proprietario dell’immobile deve impegnarsi a garantire un canone concordato calmierato rispetto ai valori di mercato. Si tratta di un’iniziativa che potrebbe essere adottata anche a livello nazionale, attraverso la destinazione di fondi ad hoc da parte del Governo e che potrebbe essere avviata con relativa rapidità. Ma affinché questa iniziativa abbia successo, oltre alle risorse economiche occorre anche fare in modo che si sviluppi una diversa attitudine da parte dei proprietari di immobili. Come più volte segnalato da parte dei nostri studenti, infatti, l’accoglienza di studenti e studentesse, nella nostra città come altrove, deve superare diffidenze e discriminazioni che non reputo accettabili, tanto più in una città come la nostra che si definisce aperta e accogliente.
Nei mesi scorsi è stato avviato, grazie alla sensibilità dimostrata dall’Amministrazione comunale e, in particolare, dal Sindaco e dall’Assessore alle politiche sociali, un confronto proficuo e prezioso che possa portarci a individuare soluzioni operativamente realizzabili, come sopra evidenziato, sia nel breve e che nel medio-lungo termine, e spero vivamente che si possano trovare soluzioni efficaci. Tutti dobbiamo fare la nostra parte, nessuno escluso!
Il Rettore
Paolo Andrei
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