BOLOGNA – «Se il calcio è stato l’unico sport di squadra a completare i suoi tornei non avendo problemi di contagio, controllando e applicando rigorosamente i protocolli del Comitato tecnico scientifico, vuol dire che è un mondo responsabile. Questo è successo grazie a due fattori: perché abbiamo messo in campo determinazione, perché sappiamo che non possiamo arrenderci all’aggressione di questa pandemia, e rispetto, per la tutela della salute di coloro che ci circondano». Così si è espresso ieri il presidente della FIGC Gabriele Gravina, intervenuto durante il panel “Le imprese motore dell’Italia”, in occasione della Giornata Evento organizzata dall’Osservatorio Economico e Sociale “Riparte l’Italia” a Bologna.
Il numero uno del calcio italiano, interpellato da Luca Telese durante la tavola rotonda, ha analizzato la ripartenza del calcio italiano dopo il lockdown, partendo dalla diffidenza di molti che reputano il calcio come un mondo superfluo.
«Si parla del calcio in maniera superficiale. Come un mondo di privilegiati, che può essere equiparato al superfluo, ma si dimentica che impatta per l’1,5 percento sul prodotto interno lordo del nostro Paese. È un mondo che lavora su circa 5 miliardi di ricavi. L’impatto del calcio influisce anche su 12 settori merceologici diversi, coinvolgendo un milione e quattrocento mila tesserati – credo sia la prima associazione di raggruppamento per numero di associati -. È un mondo che disputa ogni anno 570 mila gare, che ogni giorno dà vita a 1.600 gare, una partita ogni 55 secondi. Questo è il mondo del calcio. C’è una dimensione fondamentale della socialità, dell’aggregazione, che porta 30 milioni di italiani a seguire in tv le partite».
Per questo si è ripartiti, ma con oculatezza e rigida attenzione dei protocolli. Il mondo del calcio è stato il primo settore ad aver “sfidato” il Covid-19, andando contro le previsioni degli esperti, dubbiosi sulla creazione di un protocollo efficace, volto a limitare i contagi: «Il Cts, approvando questo protocollo, ha definito questa pratica molto invasiva sulle mucose dei nostri atleti. Ho dovuto approvare questo procedimento, che è abbastanza fastidioso, ma si è fatto perché la posta in palio era rilevante. Siamo stati molto attenti, ma ciò che ha funzionato è stato il controllo sui protocolli. Sono stato criticato per aver attivato meccanismi di controlli con la mia procura federale e un medico dell’antidoping, che quasi quotidianamente in ogni sede, controllava l’applicazione dei protocolli. Tutto questo ha creato però un grande risultato».
Il presidente della FIGC si è poi espresso riguardo il tema spinoso degli stadi, ultimamente riaperti con capienza limitata a 1.000 spettatori.
«Lo stadio è luogo di aggregazione, il Calcio viene visto come azienda atipica, cronicizzata nel tema delle perdite. Noi abbiamo un prodotto che poniamo sul mercato che è l’evento sportivo, ci sono dei mezzi di produzione, come in tutte le aziende, che sono i calciatori, e il consumatore, che è il tifoso. È chiaro che all’interno dello stadio, agorà classico per stare tutti insieme, abbiamo visto che senza pubblico è triste e monco. Un corpo senz’anima. Quindi è fondamentale avere il pubblico, ma sappiamo che la riapertura dovrà avvenire con la massima gradualità e proporzione delle strutture. Ho condiviso con Conte e Speranza di dare priorità a una macroarea della nostra vita che è la scuola. Attendiamo i risultati, sperando che ci sia un rimedio veloce alle criticità espresse in questi primi giorni e che in tempi rapidi ci sia un vaccino che ci metta in sicurezza. L’auspicio è che ci sia una riapertura graduale degli stadi, ma coerente con le norme di sicurezza».
La chiusura di Gravina è un appello al Governo, chiamato a intervenire quanto prima sulla legge 91/1981, che l’anno prossimo compirà 40 anni: «È importante nel calcio un progetto di riforma, di rivoluzione culturale, che deve portare a un nuovo modello di innovazione e di organizzazioni societarie. Chiederei un confronto con le autorità di governo, con la supplica di abbandonare o quanto meno rivedere la legge del 1981, che l’anno prossimo compirà 40 anni. Per poter dare un nuovo orizzonte e il principio di una nuova speranza».