“Diffondere la libertà della lettura e della scrittura nelle carceri italiane. Con questo obiettivo – spiega Cottafavi – è nato quattro anni fa a Modena il Sognalib(e)ro, ideato da Bruno Ventavoli, direttore di Tuttolibri della Stampa, con il Comune e il ministero della Giustizia. Un premio ambizioso, forse un po’ eretico per un Paese come il nostro che non ama leggere. Ma l’obiettivo è stato raggiunto. Il Dondolo è l’editore di questo Premio. Per la quarta volta pubblichiamo testi dei detenuti delle carceri italiane. È un lavoro di documentazione importante. Queste quattro antologie testimoniano, infatti, un corpus ormai cospicuo che, nella varietà dei linguaggi, delle sensibilità, dell’immaginario, apre una suggestiva crepa nel muro di silenzio e lontananza che avvolge i penitenziari italiani”.
Per la quarta edizione dell’iniziativa sono stati individuati dal ministero della Giustizia 17 istituti nei quali sono attivi laboratori di lettura o di scrittura creativa: la casa circondariale di Torino Lorusso e Cotugno, quella di Modena, la casa di reclusione di Milano Opera, quelle di Pisa, Brindisi, Trapani, Verona, Cosenza, Saluzzo, Pescara, Napoli Poggioreale, Sassari, Paola, Ravenna, e Castelfranco Emilia; e quelle femminili di Roma Rebibbia e Pozzuoli.
La seconda parte del premio ha coinvolto i detenuti nella veste di lettori-giurati chiamati a scegliere il migliore su una terna di tre romanzi, “E verrà un altro inverno” di Massimo Carlotto (Rizzoli, 2021); “L’uomo e il maestro” di Paolo Cangelosi (E/o, 2021); “L’anno che a Roma fu due volte Natale” di Roberto Venturini (Sem, 2021)
Dopo tre scrittrici come Donatella Di Pietrantonio, Rossella Postorino e Valeria Parrella, la quarta edizione del premio se l’è aggiudicata lo scrittore noir Massimo Carlotto. Una vittoria doppiamente significativa. Tra gli anni Settanta, quando era un giovane militante di Lotta Continua, e gli anni Novanta fu protagonista di un noto caso giudiziario di cronaca nera. Fu accusato di aver ucciso con 59 coltellate una ragazza di 24 anni, e dopo una lunga serie di processi fu condannato a 16 anni di reclusione. Venne graziato nel 1993, dopo aver scontato anche sei anni di carcere, dal presidente Oscar Luigi Scalfaro e poi pienamente riabilitato nel 2004.
«Sono davvero orgoglioso di questo premio. Non solo perché il mio romanzo è piaciuto – scrive Massimo Carlotto – ma perché mi conforta sapere che la lettura in carcere continua a essere praticata e sviluppata. Cesare Pavese affermava che la letteratura è una difesa contro le offese della vita e la privazione della libertà è certamente una delle più difficili da sopportare. In un passato ormai lontano ho condiviso questa esperienza e successivamente quella di volontario e conosco l’importanza salvifica della lettura. Citando Umberto Eco, permette di trasportare la mente in mondi lontani, evadere per alcune ore dalla condizione di recluso. Certamente porta alla scoperta elementi utili a interrogarsi sul proprio presente, analizzare il passato e sognare il futuro. Leggere significa coltivare la speranza, impedire che il tempo “fuori tempo” del carcere domini la quotidianità, che le leggi non scritte assumano un’importanza che non possiedono. Significa soprattutto – aggiunge Carlo – una pratica della liberazione che inizia da sé stessi e ha come obiettivo quella reale, vincente nel lasciarsi alle spalle errori e nel ricostruire nuove esistenze. Leggere significa rimanere vivi”.
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