PARMA – Come ogni anno in occasione del 25 novembre, il Centro Antiviolenza cerca di fare il punto della situazione rispetto alle donne che hanno chiesto aiuto e ascolto pubblicando i suoi dati parziali aggiornati, dati raccolti dal 1° gennaio fino al 31 ottobre 2024, per raccontare con le parole delle donne il fenomeno della violenza nel nostro territorio e denunciare una situazione che negli anni resta drammaticamente immutata.
Questi numeri ci raccontano che c’è stato un aumento delle richieste d’aiuto: quest’anno al 31.10.2024 si sono rivolte a noi 315 donne che hanno subito violenza rispetto alle 293 del 31.10.2023. Tra queste donne 235 si sono rivolte a noi per la prima volta e 80 avevano cominciato il loro percorso precedentemente. Stando ai dati la maggior parte delle donne che ci hanno contattate per la prima volta nel 2024 era di origine italiana, inferiore il numero delle donne straniere.
La complessità del fenomeno della violenza, che lo rende strutturale e persistente, è data anche dal non essere riconducibile alla sola violenza fisica subita dal 67% delle donne che si è rivolta a noi, e che risulta la più manifesta ma, dalla nostra esperienza, emerge che il tipo di violenza più frequente è quella psicologica (92%), che si configura con atteggiamenti denigratori, sminuenti e controllanti, agiti all’interno delle relazioni intime: mentre, la violenza fisica non è sempre presente nel racconto delle donne, quella psicologica lo è nella maggior parte dei rapporti abusanti.
La violenza contro le donne, radicata nella nostra cultura, è agita anche in altre forme quali quella economica (43%) e quella sessuale (19%) ed in entrambi i casi si tratta di due modalità che consentono all’uomo di mantenere il controllo ed esercitare potere sulle donne e sui loro corpi perché è sempre presente l’idea della donna come “oggetto di possesso”.
Dal racconto delle donne che si sono rivolte a noi rileviamo che i figli e le figlie che hanno subito violenza diretta e/o assistita, risultano essere il 69%. Abbiamo ospitato nelle nostre Case Rifugio 32 donne con figli/e e 17 donne sole per un totale di 49 donne e 58 figli/e ospitati.
Nel corso del 2024 sino al. 22.11.2024, al Centro Antiviolenza, con riferimento alle donne ospiti nelle case ed accolte, si sono svolti oltre 900 colloqui telefonici con donne e con altri soggetti della rete oltre a 700 colloqui personali con le sole donne (quando opportuno assieme alle mediatrici linguistico culturali); le donne hanno usufruito di informazioni legali, consulenze psicologiche, colloqui per l’orientamento lavorativo, sostegno all’autonomia, sono state accompagnate presso Forze dell’Ordine, presso avvocate/i, Servizi Sociali, Servizi Sanitari; le donne in ospitalità hanno potuto accedere alle loro abitazioni per il ritiro effetti personali (con il supporto delle FFOO). Questi numeri raccontano l’immensa mole di lavoro che i centri antiviolenza si trovano ad affrontare quotidianamente.
Sono passati cinque anni dall’introduzione del cosiddetto “Codice rosso” ed un anno dal suo “rafforzamento”. La sua introduzione si prefiggeva di introdurre un impianto di misure di prevenzione e contrasto alla violenza oltre che di inasprire le pene, nel tentativo di ridurre un fenomeno che non accenna a diminuire nel nostro Paese. Ma cosa accade nella realtà dal nostro osservatorio? Al di là dei numeri, qual è la percezione e il racconto delle donne che sono direttamente coinvolte e che arrivano al Centro e nelle sue case?
Le donne che si rivolgono al Centro hanno sempre più forte la percezione che si chieda a loro sempre più coraggio e sovraesposizione; ma per loro il carico di preoccupazione e di paura non si è modificato.
Dal loro punto di vista, il cd sistema di protezione procede senza alcun rispetto della loro volontà e dei loro tempi che vengono bypassati da procedure che le rendono ancora una volta “oggetti” e non soggetti del proprio percorso di vita.
Sempre più spesso sono ancora le donne che devono uscire dalla propria abitazione, anche nel cuore della notte, con figli/e; sono sempre le donne che vengono valutate e giudicate nella scelta di allontanarsi dal partner violento e di allontanare da questi i propri figli/e; sono sempre le donne che devono adeguarsi a trovare soluzioni abitative alternative e precarie, nella speranza (nella maggior parte dei casi non realizzata) di poter rientrare a casa; sono sempre le donne che vengono escluse da “aiuti istituzionali” qualora non siano residenti nei luoghi in cui vengono allontanate seppure li vivono e/o lavorano; sono sempre le donne che nella loro lotta si sentono sole.
Occorre ancora una volta provare a raccontare i fatti partendo dalle storie delle donne e dai loro racconti e così scoprendo che forse le intenzioni del legislatore non troveranno attuazione, nella grande maggioranza dei casi, se si dimentica che l’allontanamento della donna e dei figli dalla loro casa si traduce in un ulteriore “trauma” e che nei fatti, spesso, porta la donna ed i figli a perdere tutto.
Ancora una volta la vittimizzazione secondaria pesa sulla vita di queste donne e sulle loro scelte bloccando ogni velleità di uscire dalla situazione di violenza.
La lotta contro la violenza sulle donne è, allo stato, ancora rimessa alla forza ed alla volontà delle donne che spesso non trovano ascolto e reali e concreti e adeguati interventi di sostegno.
La violenza contro le donne è fatta anche di parole traumatizzanti e distruttive così proviamo a raccontarlo con lo spettacolo MIA maschi violenti e donne violate – di e con Giorgio Scaramuzzino che quest’anno il Centro Antiviolenza ha deciso di presentare il 28 novembre alle ore 21 all’Auditorium della Scuola Toscanini di via Cuneo. Ingresso a offerta.