Ravenna

Grande successo per la vernice della mostra fotografica “Fotografia e femminismi”

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Possibilità di visitare la mostra, a cura di Federica Mazzurelli, fino al 15 dicembre alla Fondazione Sabe per l’Arte di Ravenna

RAVENNA – Le donne fotografano per conoscere, gli uomini per farsi conoscere». Parte anche da qui la riflessione proposta dalla mostra “Fotografia e femminismi. Storia e immagini dalla collezione Donata Pizzi che si è inaugurata ieri – sabato 5 ottobre – alla Fondazione Sabe per l’Arte di Ravenna. Un folto pubblico di appassionati e cultori d’arte ha accolto la terza mostra dell’anno che mette in relazione la fotografia con la ricerca plastica, il paesaggio e lo spazio, fisico e mentale. «La nostra è una galleria con focus sulla scultura, la più contemporanea delle arti – ricordano il presidente Norberto Bezzi e la moglie-artista Mirella Saluzzo –, ma ci piacciono la sperimentazione e la contaminazione in varie forme per aprirci al pubblico e alla città».

Curatrice della mostra è Federica Muzzarelli, docente ordinaria di Storia della fotografia, in collaborazione con il gruppo di ricerca FAF/Dipartimento delle Arti dell’università di Bologna fondato insieme a Raffaella Perna dell’università La Sapienza di Roma e a Cristina Casero dell’università di Parma, nell’ambito del progetto PRIN 2020 “La fotografia femminista italiana”. «Questo lavoro è frutto di relazioni e di reti che si sono sviluppate negli anni – spiega –. Quando mi è stato proposto, ho subito pensato a Donata Pizzi che ci ha messo a disposizione parte della sua collezione. L’operazione di selezione delle immagini non è stata facile. Abbiamo individuato i nuclei tematici più vicini al lavoro delle donne fotografe dal 1965 in avanti e anche a temi legati alla fotografia come strumento di espressione della creatività». Le sezioni sono cinque: album di famiglia, identità di genere, stereotipi e spazi domestici, ruoli e censure sociali, libri e oggetti femministi. All’interno di ogni sezione poi è previsto un dialogo generazione, in cui i lavori di artiste storiche come Liliana Barchiesi, Lisetta Carmi, Lucia Marcucci, Paola Mattioli e Tomaso Bingo, è accostato a quelli di fotografe più giovani quali Martina Della Valle, Giulia Iacolutti, Moira Ricci, Alessandra Spranzi e Alba Zari.

Presente alla vernice della mostra anche Donata Pizzi che dal 2013, grazie alla sua collezione che comprende 300 immagini di una novantina di fotografe, porta avanti un prezioso lavoro di valorizzazione delle donne artiste e fotografe italiane che oggi assume i contorni di un patrimonio storico e culturale eccezionale. «Dopo aver a lungo lavorato come editor, ricercatrice e fotografa, conosco il mondo della fotografia da tutti i punti di vista – ricorda Pizzi –. A un certo punto mi è sembrato più utile fare qualcosa per la fotografia italiana che è ricca, varia e misconosciuta a livello nazionale e all’estero. Nel momento in cui ho deciso di puntare sul contenuto della fotografia, ho avuto una folgorazione entusiasmante e liberatoria: occuparmi di una nicchia, quella delle fotografe italiane, che è stata fondamentale anche per il successo della collezione. Ho trovato più interessanti i lavori di queste fotografe rispetto a quelli di fotografi coetanei più conosciuti».

«A differenza degli uomini – prosegue –, le donne hanno sempre lavorato approfondendo gli argomenti, cercando di farli conoscere. Nel complesso, la collezione offre uno spaccato degli ultimi sessant’anni, in cui sono cambiati i contesti e le condizioni delle donne, è un racconto di questo percorso che è stato più descrittivo all’inizio e più concettuale successivamente». I prossimi obiettivi? Promuovere la collezione all’estero attraverso gli istituti di cultura e aprire a Roma, entro il 2025, uno spazio per lo studio e in cui la collezione possa essere sempre fruibile.

In occasione dell’apertura della mostra, durante la conferenza di presentazione, è stato ricordato Gianluca Tusini, docente di Storia dell’arte contemporanea all’Università di Bologna, scomparso all’improvviso nei giorni scorsi. «Tutti lo ricordiamo come una figura cordiale e piacevole, a cui eravamo molto vicini – afferma Pasquale Fameli, direttore artistico della Fondazione Sabe –.  Grande studioso si è occupato in particolare della teoria dell’arte e delle decorazioni fra Ottocento e Novecento. Era tra i membri più attivi del nostro comitato scientifico e partecipava sempre con entusiasmo ai dibattiti».

La mostra resterà aperta fino al prossimo 15 dicembre, mentre il 7 e il 23 novembre sono previsti un paio di eventi collaterali di approfondimento.

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Pubblicato da
Roberto Di Biase

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