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Giorno del Ricordo, seduta solenne del Consiglio comunale. L’intervento del vicepresidente Marco Piazza

BOLOGNA – Questa mattina, il Consiglio comunale si è riunito in seduta solenne in occasione del Giorno del Ricordo Il vicepresidente del Consiglio comunale, Marco Piazza è intervenuto in apertura. Di seguito il suo intervento.

“Buongiorno a tutti. Signor Sindaco, signori consiglieri, autorità civili e militari vi vedo numerosi presenti gentili ospiti buongiorno a tutti.
Grazie della vostra presenza, benvenuti a questo Consiglio comunale solenne per celebrare il giorno del ricordo istituito dalla legge (n. 92/2004) dal titolo “Istituzione del giorno del ricordo in memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale”
Un caro saluto in particolare agli studenti presenti in aula, sia agli studenti premiati in Sala Rossa poc’anzi per il concorso indetto da ANVGD che agli studenti dell’ Istituto Belluzzi Fioravanti, Scarabelli di Imola, Istituto Ghini di Imola, Scappi di Castel San Pietro, e gli studenti dei Licei scientifici di Bologna Fermi e Righi.
La vostra presenza qui ragazzi è particolarmente importante e testimonia la vera efficacia della promozione della conoscenza. Ho ascoltato un elaborato che avete scritti e che è stato premiato e che testimonia quanto il lavoro fatto stia dando i suoi frutti.
Un saluto e un ringraziamento all’associazione Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD) sezione di Bologna e al suo Presidente Marino Segnan che da sempre si impegna per le celebrazioni del giorno del Ricordo a Bologna e per questo consiglio solenne. Ma il giorno del ricordo non deve essere un evento isolato, celebrato una volta all’anno, ce lo diciamo sempre con il presidente segnan ma deve essere un momento per rilanciare le continue attività per la conoscenza di questo pezzo di storia e per questo l’associazione, molto opportunamente, organizza durante tutto l’anno anche seminari di formazione per docenti – attraverso di loro ho avuto la fortuna di conoscere diversi storici e alcuni di loro sono stati anche relatori qui ai precedenti consigli ed un interessantissimo viaggio del ricordo sono iniziative che si svolgono durante tutto l’anno e ci tengo in questa sede a ringraziare e compliementarmi con l’associazione per tutto questo impegno perché come spesso accade le persone che hanno sofferto e che portano dentro una tragedia come questa porta sanno insegnare agli altri hanno saputo dare tanto a tante persone anche a me.
Do infine il benvenuto al prof Luciano Monzali, che interverrà subito dopo il presidente Segnan in qualità di relatore. Il prof Monzali professore ordinario di Storia delle Relazioni internazionali dell’università Aldo Moro di Bari. Autore e coautore di oltre 70 pubblicazioni in gran parte su questo tema, vincitore anche di un paio di premi quindi abbiamo la fortuna e l’onore di avere con noi un grande esperto.

Oggi ricorrono esattamente i 73 anni della firma del trattato di Parigi del 10 febbraio 1947, con cui venne imposto all’Italia, uscita sconfitta dalla seconda guerra mondiale, di rinunciare alle città di Fiume, Zara e di quasi tutta l’Istria.
Dal giorno dopo, l’11 febbraio 1947, l’esodo dei nostri connazionali italiani di quelle terre assunse dimensioni colossali. Abbandonarono le loro case, le loro terre, la loro cultura… tutto… tra le 300 e le 350 mila persone.
Si svuotarono intere città, nei mesi precedenti a quei giornimigliaia di italiani erano stati prelevati dalle loro case ed erano scomparsi creando un clima di terrore. Si seppepoi che erano stati uccisi, molti buttati nelle foibe morti o peggio, ancora vivi. Si svuotò anche Pola, che fino ad allora era stata gestita dagli alleati e quindi era fuori dal controllo jugoslavo, ma la cui popolazione era rimasta scioccata dalla strage di Vergarolla che pochi mesi prima aveva causato la morte di 65 persone.

Perché è importante ricordare? Ne parlavo prima coi ragazzi in sala rossa, uno di loro ha detto che è importante conoscere i fatti.
La mia generazione questo pezzo di storia non l’ha studiata, nei libri di allora non era riportata, non se ne sapeva nulla. Era coperto da una coltre di oblio forzato.
C’è voluta una legge, la 92/2004, per iniziare a parlare di questa vicenda complessa, togliere il velo e restituire quindi all’Italia un pezzo della sua storia, importantissima per capire le vicende successive, il dopoguerra e gli assetti attuali del nostro paese, ma anche comprendere meglio gli equilibri internazionali di allora e degli anni successivi.
Oggi possiamo anche ragionare sui vari motivi di quel silenzio che aveva oscurato quelle dolorose vicende, tra questi la scelta di non importunare un dittatore come Tito, che non era allineato al blocco sovietico, oppure ancora la non volontà di accettare che noi la guerra l’avevamo persa e che avevamo pagato un prezzo molto alto per quella sconfitta.
Finalmente oggi questa storia è patrimonio consolidato di cui sono stati ricostruiti i fatti con testimonianze e ritrovamenti di corpi nelle foibe. Oggi nessuno può più negare. Una volta non si sapeva nulla, ma oggi, dopo anni di studi, negare è un esercizio complicato che deve forzatamente ignorare molte evidenze.
Ma il ricordo è solo questo? È solo storia? Ancora una studentessa ha detto che ricordare è importante anche per trarre degli insegnamenti. E’ vero. Capire come evitare una tragedia che non si deve mai più ripetere: migliaia di persone brutalmente assassinate solo per la colpa di essere italiani, centinaia di migliaia di altri costretti all’esodo, un esodo terribile.
Questo è il risultato dell’esaltazione delle differenze per esasperare divisioni.
Questa è stata la tragica conseguenza dei nazionalismi; di quella politica, attuata già ancora prima dell’800 da Francesco Giuseppe dopo la caduta di Venezia, per governare quello che lui allora chiamava non il suo popolo, ma “i suoi popoli”, attuando la strategia del “divide et impera”, e cioè privilegiare alcuni per tenere a bada altri e governare meglio tanti popoli diversi, persone che avevano vissuto insieme per secoli pacificamente. Queste persone erano indotte a vedere differenze nel vicino di casa che per generazioni avevano frequentato, a sentirsi diversi, erano indotte al contrasto.
Questi germi di differenze, già instillati durante l’impero austro ungarico, vennero esasperati dalla follia del fascismo che aveva fatto del nazionalismo una bandiera e poi ancora dal sanguinario nazionalismo comunista di Tito. E questo poteva essere un altro importantissimo motivo.
Ma c’è un motivo che secondo me è ancora più importante, che avevo lasciato in sospeso con i ragazzi prima ma che ci tengo ad approfondire ora.
C’è un altro motivo, che ritengo un dovere per le istituzione: quello di restituire dignità ai nostri connazionali di quelle terre, che hanno pagato un prezzo più alto di tanti altri per le follie della 2° guerra mondiale e per la sconfitta italiana.
Connazionali che hanno pagato con migliaia di morti il nazionalismo di Tito, la pulizia etnica che quest’ultimo attuava per poter poi rivendicare, in sede di conferenza di pace, quelle terre come slave; persone uccise con la falsa accusa di essere fascisti o collaborazionisti ma la realtà era solo l’interesse per quelle terre.
Una tragedia che ha prodotto anche un numero enorme di esuli, molti, forse 350mila, certamente tantissimi, troppi, il numero esatto forse non lo sapremo mai, persone che avevano lasciato tutto per affrontare un destino incerto non per scelta ma per obbligo, per venire in Italia che usciva dalla guerra ed era in ginocchio che faceva fatica ad accoglierli degnamente e che quindi li sparpagliò in 120 città diverse, provocando una ulteriore tragedia nella tragedia, dilaniando famiglie4 e separando affetti e parenti, in campi profughi che erano casermoni grandi, immensi, dove le famiglie erano divise solo da lenzuoli appesi a un filo, dove si riusciva a morire di freddo, ma anche per suicidio dovuto alla depressione, perché quella gente era stata strappata alle loro case, era abituata ad essere autosufficiente e non sopportava di doversi mettere in fila con una ciotola in mano per ricevere il cibo dalla mensa, bagni esterni docce esterne, nessuna intimità nessuna capacità di essere autosufficienti si veniva colti da depressione e si moriva per suicidio molto spesso. Noi come istituzione dobbiamo restituire dignità a questa tragedia che per troppo tempo questa gente ha portato dentro di sé, questi nostri connazionali italiani come noi, pagando un doppio prezzo: anche quello del silenzio che calava sulla loro storia, e che impediva loro di condividere almeno il dolore.
A volte parlare di qualcosa ci aiuta, loro invece non hanno potuto farlo, hanno dovuto vivere questa cosa terribile e sopportarne ogni conseguenza in silenzio, ora abbiamo 50 anni da recuperare come istituzione e dobbiamo far sentire la nostra vicinanza a queste persone: questo è il motivo più importante per cui come istituzione secondo me celebriamo il giorno del ricordo.
Oggi parleremo non tanto delle cause storiche già analizzate nei precedenti consigli solenni, grazie al professor Monzali ci soffermeremo sul contributo che queste persone hanno dato allo sviluppo del paese, questi esuli venuti abbandonando le loro terre hanno contribuito molto, tra questi voglio citare uno in particolare che divenne un po’ il faro degli esuli, il prof. Carlo Descovich che come esule aveva scelto Bologna avendovi studiato, era un medico divenne fondatore dell’ISEF, diede un grande contributo allo sviluppo del paese e divenne un punto di riferimento per altri esuli come lui, ringrazio la famiglia che oggi è presente e onora questo consiglio; quest’anno il comune di Bologna ha individuato un’area in via Codivilla di fronte a s. Michele in Bosco che verrà intitolata al prof. Descovich; quindi un esule istriano sarà ricordato per il contributo che diede allo sviluppo del paese e della nostra città, lui come moltissimi altri., il cav. Segnan sarà in grado di citarli.
C’è da dire – e mi avvio alla conclusione – che 80 mila di questi esuli dopo essere stati obbligati all’esilio scelsero dolorosamente di emigrare, esuli per obbligo emigranti per scelta, e si sparpagliarono ulteriormente chi in Argentina, chi in Australia dissolvendo una cultura tutta italiana che è vero che oggi non ha più una terra ma che secondo noi deve essere preservata, l’anno scorso come ufficio di presidenza abbiamo promosso la pubblicazione di una antologia dove abbiamo raccolto un indice di brani di quella cultura italiana che si era sviluppata in quelle terre che dobbiamo assolutamente preservare e non dobbiamo perdere.
Ho avuto la fortuna di ascoltare la testimonianza di Fiore Filippaz classe 1947 che ha vissuto come profuga per 12 anni nel campo di Padriciano e la cui sorella piccola morì di polmonite, pensate, le condizioni dei campi profughi erano tali che non c’era la possibilità di salvare una bambina; questa esperienza la segnò talmente che scelse di dedicare la vita ad aiutare gli altri ma had etto una frase che mi sono appuntata“Dopo quello che ho vissuto, non ho mai trovato il coraggio di avere dei figli”; una tragedia che si sono portati dentro e della quale non hanno potuto parlare per 50 anni e noi, con questo consiglio solenne, il sedicesimo dalla promulgazione della legge 92, oggi adempiamo a quel dovere che per me è la più importante motivazione: non soltanto mantenere vivo il ricordo, ma anche restituire dignità alla sofferenza di questo popolo di italiani che hanno comunque saputo contribuire grandemente allo sviluppo del nostro paese, a cui dobbiamo tanto, e per i quali dobbiamo contribuire a sanare 50 anni di ingiusto silenzio”.

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Pubblicato da
Roberto Di Biase

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